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SCOPRIAMO INSIEME IL TERMOMETRO DELLE EMOZIONI!

SCOPRIAMO INSIEME IL TERMOMETRO DELLE EMOZIONI!

Vi ricordate la nostra rubrica a tema EMOZIONI? Bene, ora riprendiamo quei concetti e, in particolare, capiamo meglio a cosa serve il famoso strumento del termometro

Si tratta di un aggancio visivo utilizzato solitamente con bambini e ragazzi che hanno difficoltà nel riconoscimento o nella gestione delle proprie emozioni. Li aiuta ad imparare che le emozioni non sono una dimensione dicotomica (la provo VS non la provo), ma che si collocano in un continuum e che quindi la stessa può avere intensità differenti. 

Abbiamo già accennato anche al “vocabolario emotivo”: ogni emozione, infatti, a seconda dell’intensità in cui si presenta, può essere denominata in maniera diversa. Il termometro, quindi, ci permette di arricchire il nostro lessico e far sì che gli altri, in questo caso gli adulti, possano capire lo stato d’animo provato dal bambino. 

Ovviamente è uno strumento che noi professionisti proponiamo in sede di trattamento, ma che con tutta semplicità potete creare anche voi genitori a casa o voi insegnanti a scuola. Scopriamo, quindi, con che finalità può essere utilizzato!

  • Per individuare l’intensità di una propria emozione sperimentata in seguito ad un determinato evento, promuovendone il racconto;
  • Per prevedere l’intensità dell’emozione che si potrebbe provare in seguito ad un determinato evento, per migliorare l’approccio e la gestione di quell’emozione, specialmente se spiacevole;
  • Per immaginare come potrebbe sentirsi un’altra persona in seguito ad un determinato evento, per incrementare le cosiddette competenze empatiche di rispecchiamento emotivo.

Al fine di facilitare la comprensione delle emozioni, può essere utile creare questo supporto per ciascuna emozione di base. Io stessa ne ho creati 5, suddividendoli in 3 fasce di intensità: poco, abbastanza e molto. Un’altra versione può, invece, essere realizzata strutturandola su 10 livelli. Ognuno di questi necessita, come abbiamo detto precedentemente, di essere denominato con il termine più idoneo. 

Per rendere lo strumento ancora più accattivante, ho scelto di ispirarmi ai personaggi del cartone animato “Inside Out”, ben conosciuto dai nostri piccoli pazienti! Ma qualsiasi altro suggerimento o nota creativa è ben accetta!

Dott.ssa Chiara Zaghini 

Psicologa dell’Età Evolutiva

BIBLIOGRAFIA: 

Di Pietro Mario (2014). “L’ABC delle mie emozioni”. Trento, Erickson.

“Inside Out” (2015).

MIO FIGLIO HA UN DSA… CHI O COSA PUÒ AIUTARLO A SCUOLA?

MIO FIGLIO HA UN DSA… CHI O COSA PUÒ AIUTARLO A SCUOLA?

Dopo aver svolto una valutazione degli apprendimenti scolastici ed aver stilato un profilo di funzionamento completo del bambino o ragazzo, il clinico esperto in Disturbi Specifici dell’Apprendimento può chiudere una diagnosi per DSA. Ma cosa implica questa dicitura? 

Tranquilli, non ci spaventiamo prima del dovuto! Avere un DSA non è nulla di così scandaloso, significa semplicemente che i nostri figli faticano ad automatizzare alcuni processi implicati negli apprendimenti che per noi risultano spontanei, ma ciò non significa che siano meno intelligenti dei loro compagni. 

Fortunatamente il mondo della scuola può tutelarli attraverso una legge specifica, creata ad hoc per rispondere ai bisogni ed alle necessità che i ragazzi con DSA possono incontrare lungo il loro percorso scolastico, sia che si tratti della scuola primaria o secondaria, per non dimenticarci infine dell’università!

La legge in questione si chiama “LEGGE 8 ottobre 2010, n. 170” ed è quella che trovate citata proprio nei referti delle valutazioni. Si tratta di una normativa italiana che promuove l’inclusione scolastica degli studenti che presentano una diagnosi di DSA. Nello specifico, infatti, sono inserite le nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico. Lo scopo di questa normativa è fornire il giusto riconoscimento e la corretta definizione di dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia, oltre ad elargire tutte le necessarie misure educative e didattiche di supporto, che si esplicano nella creazione di un PDP (Piano Didattico Personalizzato). Questo documento contiene gli strumenti compensativi e/o dispensativi che l’alunno DEVE assolutamente usare nel contesto scolastico, sia in sede di lezione frontale, sia durante lo studio pomeridiano ma soprattutto nelle fasi di valutazione e di verifica.

Alcuni esempi di strumenti riguardano: semplificazione delle verifiche scritte, fornendo maggior tempo a disposizione o riducendo il numero di esercizi proposti; predilezione delle interrogazioni orali; uso di mappe e schemi per lo studio; focus sul contenuto degli elaborati scritti piuttosto che sulla forma; risorse digitali come uso di computer e calcolatrice; utilizzo del dizionario anche nelle lingue straniere… Ogni professionista è tenuto a stilare una lista di strumenti specifici e personalizzati per il singolo studente, i quali andranno poi riportati dal team docente all’interno del famoso PDP, documento che andrà necessariamente condiviso anche con la famiglia.

Non dimentichiamoci il fondamentale lavoro di rete tra famiglia, scuola e professionisti…dobbiamo essere una squadra! L’attivazione di questa normativa è fondamentale per i ragazzi per non sperimentare eccessiva frustrazione di fronte al riconoscimento delle loro difficoltà e guadagnare in autostima grazie ai numerosi successi che possono così ottenere!

Dott.ssa Chiara Zaghini 

Psicologa dell’Età Evolutiva

CAMPANELLI D’ALLARME PER LO SVILUPPO DELL’AUTISMO: COSA DOVRESTI SAPERE

CAMPANELLI D’ALLARME PER LO SVILUPPO DELL’AUTISMO: COSA DOVRESTI SAPERE

Buongiorno a tutti, mi presento sono la Dott.ssa Alessia Lazzaretto, sono una psicologa esperta in psicopatologie dello sviluppo e all’interno di Studio Progetto Vita mi occupo di percorsi di sostegno rivolti non solo a ragazzi e bambini ma, anche ad adulti.  In questo articolo vorrei parlarti dei disturbi dello spettro autistico. Anche voi genitori potete infatti avere un ruolo chiave nella diagnosi precoce di tali disturbi: vediamo insieme come poter individuare qualche segnale utile per indirizzarvi a richiedere un eventuale approfondimento diagnostico.

Per incominciare vediamo insieme in cosa consiste questo disturbo: le caratteristiche fondamentali dei disturbi dello spettro autistico fanno riferimento alla presenza di uno sviluppo deficitario o notevolmente anomalo della comunicazione e dell’interazione sociale ed alla ristrettezza del repertorio di interessi ed attività.  L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che circa 1 bambino ogni 100 abbia disturbi dello spettro autistico, con una netta prevalenza nella popolazione maschile rispetto a quella femminile e che questi possano essere diagnosticati sin dalla prima infanzia. La diagnosi precoce è di fondamentale importanza perché offre la chance di intervenire sin da subito, aumentando le possibilità di incidere nello sviluppo comunicativo, relazionale e sociale di questi bambini. Identificare segnali precoci è quindi fondamentale per poter intervenire tempestivamente. E’ importante sottolineare che i primi segnali non comportano la presenza di comportamenti anomali ma l’assenza di comportamenti normali e, proprio per questo motivo, può essere più difficoltoso riuscire ad individuarli e a darvi il giusto significato. Ma…i bambini autistici quali sintomi presentano? I primi sintomi compaiono già nella prima infanzia…

Vediamo ora insieme alcuni campanelli d’allarme che potrebbero schiarirci le idee:

  • Ritardo nella Comunicazione verbale o non verbale

 I bambini possono mostrare un ritardo nel parlare o nell’usare gesti comunicativi (es. indicazione). Se notate che il vostro bambino non risponde alle vostre parole, ai gesti o ai vostri sorrisi, potrebbe essere un campanello d’allarme.


  • Difficoltà nelle interazioni sociali

 I bambini possono avere difficoltà nell’instaurare e mantenere le relazioni sociali. Potrebbero infatti mostrarsi disinteressati agli altri, evitare lo sguardo diretto o avere difficoltà a comprendere le emozioni altrui.


  • Comportamenti ripetitivi o insoliti

E’ comune la ripetizione di movimenti (es. sfarfallio delle mani), la presenza inoltre di interessi intensi su specifici oggetti o routine fisse sono comuni nei bambini con autismo. 

Fateci caso se notate comportamenti inconsueti o eccessivamente ripetitivi. 

  • Difficoltà nell’adattarsi ai cambiamenti

 I bambini con queste caratteristiche spesso preferiscono la routine e possono avere difficoltà nell’affrontare cambiamenti improvvisi. Spesso bambini con queste caratteristiche possono mostrare resistenza e disagio di fronte a modifiche nella routine quotidiana.

  • Ritardo nel gioco sociale

Il gioco sociale è spesso un’area in cui possono mostrare ritardi. Può accadere che il bambino fatichi a partecipare al gioco condiviso con altri bambini o non riesca a sviluppare giochi di fantasia.

È importante sottolineare che questi segnali non sono necessariamente indicativi di autismo e che ogni bambino è un individuo unico con le sue caratteristiche personali. Tuttavia, se sorgono preoccupazioni, consultare un professionista è la chiave per una valutazione accurata. L’intervento precoce può infatti fare la differenza nel migliorare le abilità e la qualità della vita dei bambini con queste caratteristiche. Genitori, prendetevi cura anche di voi! in questo percorso a volte difficoltoso tenetevi a mente e fatevi supportare seguendo dei percorsi psicologici di supporto o dei parent training.

Dott.ssa Alessia Lazzaretto 

Psicologa

Bibliografia

  • DSM-V – Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (quinta edizione) (2014). Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Keller R. I disturbi dello spettro autistico in adolescenza e in età adulta. Aspetti diagnostici e proposte di intervento. Erickson (2016).
  • Volkmar F. R. I Disturbi dello spettro autistico. Edra; 3° edizione (2020).
  • Xaiz C. e Micheli E. Gioco e interazione sociale nell’autismo. Cento idee per favorire lo sviluppo dell’intersoggettività. Erickson (2013).
DISPRASSIA VERBALE EVOLUTIVA (DVE): COS’E’ E COME SI MANIFESTA

DISPRASSIA VERBALE EVOLUTIVA (DVE): COS’E’ E COME SI MANIFESTA

“Talvolta apre la bocca per parlare, ma poi sembra che si sia dimenticato quello che stava per dire”.

“Non sa cosa fare con la lingua quando parla.”

“Vedo che guarda la mia bocca da vicino, e cerca di muovere la bocca in modi divertenti per copiare il mio, ma non può.”

Molti genitori descrivono queste situazioni quando il loro bimbo/a presenta disprassia verbale. 

Prima di definire il termine Disprassia verbale è utile fare una premessa: Il linguaggio è un sistema nel quale da un numero finito di suoni si può ottenere un ampio vocabolario di parole. Nello sviluppo tipico, si assiste a un progressivo passaggio di emissione di vocalizzi, lallazione e infine prime parole. Questo grande sistema necessita di prerequisiti: il bambino deve riuscir a muovere la lingua e le labbra per poter emettere i suoni e quindi a programmarli e controllarli.

In caso di Disprassia verbale la capacità di produrre sequenzialmente suoni e sillabe è molto compromessa. Nello specifico, per Disprassia verbale evolutiva (DVE) si intende un disturbo centrale della programmazione dei movimenti necessari alla produzione di suoni, parole e della loro organizzazione sequenziale.

Quali sono i segnali da osservare nel proprio bambino?

  • . nel primo anno di vita sono bambini molto silenziosi: la lallazione è assente o scarsa;
  • . producono pochissimi suoni;
  • . possibili difficoltà di alimentazione;
  • . ritardo nella comparsa delle prime parole;
  • . repertorio ristretto nella produzione di vocali e consonanti.

Quando il bambino con disprassia verbale inizia a parlare potremmo osservare:

  • . le parole sono poco comprensibili;
  • . la stessa parola può essere prodotta in modi diversi; 
  • . fatica a ripetere sillabe e parole
  • . il suo eloquio è molto veloce, o sposta l’accento sulle parole;
  • . potrebbe saper dire un suono isolato, ma ha difficoltà a mettere più suoni in sequenza;
  • . fa fatica a mandare baci, fare le pernacchie, gonfiare le guance, produce molta saliva;
  • . fa diversi tentativi per riuscire ad articolare un fonema;
  • . possono presentare ipersensibilità sensoriale, visiva e tattile.

Chi fa diagnosi?

È molto importante effettuare una diagnosi precoce per evitare che le difficoltà di produzione abbiano ricadute sul pensiero verbale e sugli apprendimenti. 

Il pediatra è una figura importante nel monitoraggio dello sviluppo del bambino e può individuare possibili indicatori di rischio.

La diagnosi viene effettuata dal Neuropsichiatra Infantile che insieme al logopedista e terapista delle neuropsicomotricità stabiliscono il profilo funzionale del bambino. 

In seguito alla diagnosi, sia avvia un trattamento logopedico per migliorare il controllo motorio della produzione verbale. Il logopedista stilerà un intervento appropriato con sedute frequenti in cui anche i genitori sono parte attiva dell’intervento stesso.

 

Hai dubbi che il tuo bimbo possa presentare questo tipo di disturbo? Puoi contattarmi per una consulenza. 

Dott.ssa Gabriella Laurino