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MIO FIGLIO VA MALE A SCUOLA E LE MAESTRE MI HANNO CONSIGLIATO UNA VALUTAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI…MA DI COSA SI TRATTA?

MIO FIGLIO VA MALE A SCUOLA E LE MAESTRE MI HANNO CONSIGLIATO UNA VALUTAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI…MA DI COSA SI TRATTA?

Spesso accade che, nei primi anni della scuola primaria, le maestre segnalino alcune difficoltà di acquisizione dei processi legati alla lettura, alla scrittura o al calcolo. Di conseguenza, consigliano alla famiglia di effettuare una valutazione per appurare la presenza o meno di difficoltà oggettive, per poi iniziare un percorso di potenziamento mirato e la conseguente attivazione, nel contesto scolastico, delle normative atte a tutelare gli alunni con “bisogni speciali”. 

Quando, però, incontriamo voi genitori spesso ci riportate dubbi e perplessità… Eccoci qui per chiarirli una volta per tutte!

Una valutazione degli apprendimenti completa deve approfondire ognuna delle aree, indipendentemente dal fatto che la difficoltà segnalata sia specifica solo di una. Senza andare troppo nello specifico con terminologie noiose, nomi e sigle assurde, vi spiego con molta semplicità cosa andiamo ad indagare:

  • LETTURA: si parte con una classica lettura di brano ad alta voce, in cui si segnano gli eventuali errori commessi dal bambino e la velocità impiegata, per poi eventualmente approfondire attraverso la lettura di parole isolate o di parole completamente inventate, per verificare la corrispondenza tra il grafema scritto e il fonema pronunciato;
  • COMPRENSIONE: strettamente legata alla competenza di lettura, si va ad indagare quanto ciò che viene letto viene anche compreso, attraverso la lettura di un brano con le relative domande a scelta multipla a cui rispondere; questa abilità si indaga anche in modalità da ascolto, dove la lettura viene in realtà effettuata dal professionista;
  • SCRITTURA: quest’area viene indagata sia dal punto di vista ortografico, con le classiche prove di dettato, ma anche dal punto di vista della produzione scritta di un testo spontaneo; inoltre, si dedica attenzione anche al gesto grafo-motorio, per indagare la fluidità o meno nell’uso dei vari allografi (stampato e corsivo);

CALCOLO: l’area della matematica viene indagata attraverso batterie che analizzano le competenze del calcolo scritto e del calcolo a mente, oltre a prove di ragionamento logico che indagano la capacità di lavorare con materiale numerico e di saper cogliere adeguatamente il senso del numero; da non dimenticare anche l’abilità di problem-solving nella fase di risoluzione dei problemi aritmetici.

In linea di massima, queste sono le prove standard che proponiamo, ovviamente somministrate sulla base della classe frequentata dal bambino, per cui vanno ad approfondire esclusivamente quelle competenze che dovrebbero essere state acquisite in base alla programmazione scolastica. Ciò che si richiede allo studente è di svolgere i test nel miglior modo, tenendo conto che alcuni di questi prevedono anche un limite di tempo entro cui svolgerli. A noi, però, interessa vedere fino a che punto è in grado di svolgere in autonomia le prove, per comprendere dove può essere mancata l’automatizzazione di quel preciso processo. 

Successivamente alla correzione ed alla stesura della relazione, si illustrano ai genitori le prove e i risultati e si opta per un eventuale percorso di potenziamento personalizzato, oltre a prendere contatti con le insegnanti per un lavoro di squadra. Perché ricordiamoci… INSIEME SI PUÒ!

Dott.ssa Chiara Zaghini 

Psicologa dell’Età Evolutiva

Conosciamo il disturbo del calcolo!

Conosciamo il disturbo del calcolo!

Bentornato caro lettore,

sono la Dott.ssa Giorgia Ghiraldini e oggi affrontiamo insieme la “discalculia evolutiva”. Se sei qui forse è perché ne hai già sentito parlare o magari sei solo curioso di scoprire di cosa si tratta ma in qualunque caso… partiamo!

La discalculia evolutiva o disturbo specifico del calcolo è un disturbo specifico dell’acquisizione e/o dell’apprendimento del calcolo, degli aspetti relativi al numero e alla quantità.

Tale disturbo è caratterizzato da due differenti profili:

  • Deficit nelle componenti di cognizione numerica basale:
    • Subitizing;
    • Quantificazione;
    • Comparazione;
    • Seriazione;
    • Strategie di calcolo a mente;
  • Debolezza nelle procedure esecutive e nel calcolo.

Non solo. Può essere caratterizzata da eventuali fragilità nelle aree definite di “dominio generale” oppure nelle aree denominate di “dominio specifico”. Tra le componenti di dominio generale troviamo ad esempio le funzioni esecutive, memoria, attenzione mentre tra le componenti di dominio specifico troviamo il confronto di numeri, i fatti aritmetici, calcolo mentale, calcolo scritto, e tutto ciò che riguarda specificatamente le abilità logico-matematiche in senso stretto.

Possibili campanelli d’allarme

  • Scarse abilità nel calcolo;
  • Difficoltà nel conteggio;
  • Difficoltà nelle rappresentazioni di quantità simboliche.

Come si arriva alla diagnosi?

La diagnosi avviene tramite la somministrazione di prove standardizzate le quali vanno a valutare:

  • Abilità lessicali;
  • Processi semantici;
  • Abilità pre-sintattiche;
  • Abilità visuo-spaziali;
  • Strategie di conteggio;
  • Padronanza e fluidità con le combinazioni numeriche.

Quando si può fare diagnosi?

La diagnosi di discalculia evolutiva può avvenire a partire dalla fine della classe terza della scuola primaria. Ciò non toglie la possibilità di osservare i comportamenti del bambino relativamente alle abilità logico-matematiche nelle classi precedenti e durante l’età prescolare, attraverso la valutazione dei prerequisiti degli apprendimenti.

Non abbiate timore di chiedere aiuto nel momento in cui notate fragilità di questo tipo nei vostri bambini. Avere una diagnosi permette un maggior benessere nella vita del bambino e permette lui di affrontare la propria vita grazie all’utilizzo di strategie e strumenti funzionali alle proprie caratteristiche.

Dott.ssa Ghiraldini Giorgia

Pedagogista

Bibliografia:

  • Cornlodi C., I disturbi dell’apprendimento, Il mulino, 2023, Bologna;
  • Vio C., Lo Presti G, Tressoldi P.E., Diagnosi dei disturbi specifici dell’apprendimento, Erickson, 2022, Trento.
CAPIRE IL BINGE EATING: UNA GUIDA SEMPLICE PER TUTTI

CAPIRE IL BINGE EATING: UNA GUIDA SEMPLICE PER TUTTI

Il Binge Eating Disorder (BED), noto anche come disturbo da alimentazione incontrollata, è un disturbo alimentare caratterizzato da episodi ricorrenti di assunzione eccessiva di cibo in un breve lasso di tempo, spesso accompagnati da sensazioni di perdita di controllo. 

Questo problema va oltre il semplice eccesso alimentare occasionale, trasformandosi in una condizione che può avere gravi implicazioni sulla salute fisica e mentale delle persone coinvolte. In questo articolo, esploreremo insieme che cosa significa soffrire di Binge Eating Disorder, i sintomi che lo contraddistinguono e accennerò brevemente al trattamento possibile.

 Ti capita mai di mangiare una grossa quantità di cibo in un breve lasso di tempo e poi di sentirti in colpa o di provare vergogna? Questo articolo potrebbe fare al caso tuo!

Questi episodi infatti possono essere definiti abbuffate: l’abbuffata nello specifico in ambito alimentare viene definita come un episodio di alimentazione eccessiva, incontrollata a cui segue un disagio significativo in cui l’individuo sperimenta un senso di perdita di controllo.   Questo problema può avere un impatto significativo non solo sulla salute fisica ma, anche, emotiva e sociale. Vi possono essere infatti conseguenze a livello fisico come ad esempio l’obesità, conseguenze emotive dettate da emozioni negative e bassa autostima ed infine conseguenze sociali come difficoltà relazionali sino ad arrivare a vere e proprie forme di isolamento.

Sintomi e caratteristiche del disturbo:

Come riconoscere che siamo in fase di abbuffata? Ecco di seguito alcuni segnali utili per poterla riconoscere:

– Sensazione di perdita di controllo. Questa si presenta ad esempio quando si mangia oltre il punto si sazietà e ci si sente incapace di fermarsi

– Velocità nell’assunzione di cibo. Ciò capita quando vengono assunte grandi quantità di cibo in un breve lasso di tempo, molto più di quanto la maggior parte delle persone farebbe in circostanze simili. Inoltre capita che il cibo non venga assaporato appieno.

– Consumo di grandi quantità di cibo senza un’effettiva fame. Capita di mangiare molto abbondantemente senza essere affamati.

-Sensazione di emozioni spiacevoli e di disagio fisico. Le persone dopo essersi abbuffate provano spesso emozioni negative verso se stessi come, vergogna, senso di colpa e disgusto. Il disagio è inoltre percepito anche fisicamente con conseguente senso di pesantezza e nausea.

Possiamo distinguere l’abbuffata ulteriormente in:

Abbuffata oggettiva ossia una vera abbuffata come descritto nelle righe precedenti

Abbuffata soggettiva ossia un’abbuffata dove la quantità di cibo ingerita non è oggettivamente eccessiva

La terapia per il disturbo

Per questo disturbo appartenente alla più vasta categoria dei disturbi del comportamento alimentare, è sicuramente necessario per la terapia e l’intervento un approccio di tipo multidisciplinare che coinvolga quindi più figure professionali. Le figure coinvolte saranno non solo lo psicoterapeuta per il percorso individuale, ma anche altre figure fondamentali come il nutrizionista e, in caso di necessità, anche lo psichiatra per affiancare una terapia farmaceutica. Spesso la famiglia può essere un alleato importante per il superamento del disturbo, un punto di riferimento importante all’interno del percorso per supportare il paziente ed aiutarlo a mettere in atto le strategie adeguate.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale nello specifico può fornire un approccio strutturato e mirato al trattamento del binge eating, aiutando i pazienti a identificare e affrontare i fattori emotivi, cognitivi e comportamentali alla base del disturbo alimentare. Il percorso si concentra sull’identificazione e sulla modifica dei pensieri distorti legati all’alimentazione, all’immagine corporea e alle emozioni negative.

Il processo terapeutico inizia insieme al paziente con una valutazione iniziale in cui si va a comprendere la storia personale, gli schemi alimentari, le credenze distorte e le emozioni coinvolte nel BED. Questa fase aiuta a personalizzare il trattamento e a identificare i fattori scatenanti specifici. Successivamente si collabora col paziente per aumentare la consapevolezza dei comportamenti alimentari disfunzionali messi in atto. Il terapeuta fornisce informazioni sulle caratteristiche del disturbo, sul ciclo binge-eating e sui rischi per la salute associati. Si prosegue con il riconoscimento di pensieri negativi legati all’alimentazione. Questo passo è fondamentale per interrompere il ciclo negativo e sviluppare nuove prospettive. Di fondamentale importanza sarà poi la gestione delle emozioni disfunzionali vissute dalla persona, si insegneranno nuove strategie di regolazione emotiva alternative all’abbuffata. Si aiuterà anche a modificare i comportamenti alimentari stabilendo insieme al paziente nuove abitudini alimentari più sane e sostenibili. L’obiettivo è sviluppare una relazione equilibrata con il cibo. 

Sono Alessia Lazzaretto, psicologa e psicoterapeuta presso Studio Progetto Vita. Se hai dubbi ed hai bisogno di supporto per gestire questa tipologia di problematiche non esitare a contattarmi.

Dott.ssa Alessia Lazzaretto

Psicoterapeuta cognitivo comportamentale

Riferimenti bibliografici:

 

  • American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition. Arlington, VA, American Psychiatric Association.
  • Christopher G. Fairburn. La terapia cognitivo-comportamentale dei disturbi dell’alimentazione. 
  • Christopher G. Fairburn. Vincere le abbuffate. Come superare il disturbo da binge eating. 
IL GIOCO DELLO “SPECCHIO”

IL GIOCO DELLO “SPECCHIO”

Tutti voi in casa avrete sicuramente almeno uno specchio…e sapete benissimo a cosa serve. Ora osserviamolo insieme da un’altra prospettiva ed introduciamo il concetto di “rispecchiamento emotivo”. 

Trattiamo questo tema pensando, più nello specifico, ai bambini molto piccoli ed alle loro prime fasi di vita. Nella relazione primaria genitore-figlio si pongono le basi per tutte le future relazioni della vita, per cui è fondamentale non trascurare il “sottofondo” emotivo. 

Ma perché parliamo di specchio?

La madre riflette sul viso i sentimenti del suo bambino grazie alla sua profonda empatia; in questo modo il figlio vede in lei come in uno specchio e lì trova se stesso. In questo gioco di rispecchiamento la madre contemporaneamente attribuisce significati anche ai più piccoli movimenti inconsapevoli del bambino: sospiri, esitazioni, pianti, sorrisi, rilassamenti, irrigidimenti. Questa valenza emotiva, come già anticipato, resterà alla base di ogni apprendimento futuro ed accompagnerà il bambino nella sua crescita; investirà tutte le figure significative della sua vita, compresi educatori ed insegnanti.

Se riflettete e provate a rievocare i momenti in cui i vostri bimbi erano piccoli, sicuramente vi torneranno in mente gli episodi in cui, di fronte ad un evento e poco prima di reagire, tendevano a voltarsi e a guardarvi come per “sapere” cosa era successo. Sembravano volervi dire: “Cos’è successo? Cosa mi succede? Cosa provo? Dolore? Paura? Bisogno di protezione? Devo arrabbiarmi?”. O come a chiedere conferma del loro stato emotivo e mentale: “È appropriato ciò che provo?”.

L’esempio classico che balza alla mente è quello in cui il bimbo cade e si sbuccia il ginocchio…voi come reagivate a questa situazione? Provate a mettervi in discussione e a riflettere se la vostra tendenza era quella di convalidare lo stato emotivo del bimbo, fornendogli sicurezza e contenimento o se, al contrario, lo rifiutavate e lo conducevate solo ad una semplice distrazione dall’accaduto. 

Secondo voi, qual è il giusto approccio? In che modo riusciamo a mostrarci realmente empatici e ad entrare in sintonia con nostro figlio? Attraverso quale modalità lui capirà l’appropriatezza dei propri sentimenti?

Ricordiamoci che la reazione dell’adulto è determinante sia per la comprensione dell’evento, sia come informazione su come reagire e cosa provare.

Dott.ssa Chiara Zaghini 

Psicologa dell’Età Evolutiva

BIBLIOGRAFIA: 

Bosi Rosanna (2020). “Pedagogia al nido. Sentimenti e relazioni”. Carocci Faber.

Perché dovresti imparare a gestire le tue emozioni anche se sei adulto? 

Perché dovresti imparare a gestire le tue emozioni anche se sei adulto?

Le emozioni sono un mondo molto vasto, spesso si è soliti pensare che gestire le proprie emozioni sia un compito semplice ma forse non tutti sanno che questo richiede un vero e proprio “apprendimento”.  Perché ho deciso di scrivere un articolo su questo argomento? Perché il rischio di non “imparare” questa funzione ha un costo molto alto. Permettimi di spiegarti meglio…

La disregolazione emotiva negli adulti è un fenomeno che può avere una vasta gamma di impatti sulle loro vite, influenzando il loro benessere emotivo e le loro relazioni interpersonali. Questa condizione riguarda la difficoltà di controllare, regolare e gestire in modo sano le proprie emozioni, portando a un’esperienza emotiva e comportamentale disfunzionale.

Partiamo dagli effetti sulla salute mentale; numerosi studi hanno dimostrato una forte associazione tra la disregolazione emotiva negli adulti e una serie di disturbi mentali, tra cui depressione, ansia e disturbo borderline di personalità (BPD). Ad esempio, un’indagine pubblicata su Psychological Bulletin ha rilevato che livelli elevati di disregolazione emotiva erano significativamente correlati a sintomi depressivi e ansiosi. Allo stesso modo, molte ricerche hanno evidenziato un’associazione tra disregolazione emotiva e BPD, suggerendo che la difficoltà di regolare le emozioni può svolgere un ruolo chiave nello sviluppo e nella persistenza di questo disturbo.

Non riuscire a gestire efficacemente le proprie emozioni inoltre, ha degli effetti sulle relazioni interpersonali; infatti, la disregolazione emotiva negli adulti può avere un impatto significativo sulle loro relazioni interpersonali. Ad esempio, l’incapacità di regolare adeguatamente le proprie emozioni può portare a frequenti ed estreme variazioni di umore, rendendo difficile per i soggetti di affrontare e risolvere conflitti relazionali in modo sano ed efficace. Un articolo pubblicato su Journal of Abnormal Psychology ha anche evidenziato come la disregolazione emotiva possa compromettere la reciproca regolazione emotiva all’interno delle coppie, portando a dinamiche disfunzionali e a un maggiore rischio di conflitti.

In più chi fa fatica a gestire le proprie emozioni ha un rischio più elevato di ricorrere a comportamenti autolesionistici e all’abuso di sostanze. Diverse ricerche hanno dimostrato che individui che lottano con la regolazione emotiva presentano una maggiore tendenza a impegnarsi in comportamenti autolesionistici, come il taglio o l’auto-bruciatura, con lo scopo di alleviare l’angoscia emotiva. Un articolo pubblicato su Comprehensive Psychiatry ha anche evidenziato una forte correlazione tra la disregolazione emotiva e l’abuso di sostanze, suggerendo che l’incapacità di modulare le emozioni aumenta il rischio di ricorrere all’uso di droghe o alcol per gestire le proprie difficoltà emotive.

Si può quindi concludere dicendo che la disregolazione emotiva negli adulti può avere gravi conseguenze sulla salute emotiva e sulle relazioni interpersonali. La letteratura scientifica ha ampiamente dimostrato l’associazione tra disregolazione emotiva e disturbi mentali come la depressione, l’ansia e il disturbo borderline di personalità. Inoltre, la disregolazione emotiva può portare a dinamiche disfunzionali all’interno delle relazioni, influenzando la comunicazione e la risoluzione dei conflitti. Infine, la disregolazione emotiva può aumentare il rischio di comportamenti autolesionistici e di abuso di sostanze come meccanismo di coping disfunzionale.

Per affrontare la disregolazione emotiva negli adulti, è essenziale un intervento terapeutico specializzato che aiuti gli individui a sviluppare una maggiore consapevolezza emotiva, delle abilità di regolazione e delle strategie di coping più sane. La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e in particolare l’approccio basato sulla DBT (terapia dialettico comportamentale) che fonda le proprie tecniche sulla consapevolezza, come la mindfulness, sono spesso utilizzati in questo contesto per migliorare il benessere emotivo e facilitare una migliore regolazione delle emozioni.

Sono Veronica Griguoli, psicologa e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, mi occupo di percorsi di supporto per adulti e ragazzi e spero di averti aiutato a capire quanto importante sia prendersi cura delle proprie emozioni.

Se hai dubbi o domande, non esitare a scrivermi o a contattare lo studio. Sarò molto felice di aiutarti.

A presto!

Dott.ssa Veronica Griguoli

Riferimenti bibliografici:

 

– Gratz, K. L., & Roemer, L. (2004). Multidimensional assessment of emotion regulation and dysregulation: Development, factor structure, and initial validation of the difficulties in emotion regulation scale. Journal of Psychopathology and Behavioral Assessment, 26(1), 41-54.

 

– Kring, A. M. (2009). Emotion regulation and psychopathology: A transdiagnostic approach to etiology and treatment. In K. D. Vohs & E. J. Finkel (Eds.), Self and relationships: Connecting intrapersonal and interpersonal processes (pp. 31-47). New York, NY: Guilford Press.

 

– Selby, E. A., Brinton, J. C., & Joiner, T. E. (2008). The interpersonal theory of suicide: Implications for psychopathology research on borderline personality disorder. Journal of Personality Disorders, 22(4), 460-472.

Lo sviluppo dei fonemi del linguaggio 

Lo sviluppo dei fonemi del linguaggio

Ogni genitore è un attento osservatore delle tappe di sviluppo del proprio figlio. Quando iniziano a emettere i primi suoni è una gioia immensa e la parola crea un ponte di significati con tutti gli atteggiamenti che il bimbo mette in atto da quando nasce.

Il linguaggio del bambino, soprattutto nelle prime fasi di sviluppo è caratterizzato molto spesso dalla tendenza a sostituire un suono con un altro. Questo avviene per un iniziale difficoltà a percepire, riconoscere i vari suoni oppure per la tendenza a modificare l’ordine dei suoni nella parola.

Sono processi fisiologici e naturali che si riducono via via con la crescita del bambino.

Vediamo insieme come e quando vengono articolati i suoni in maniera fisiologica:

Nella lingua italiana esistono 30 suoni diversi detti fonemi. Ogni fonema si differenzia per luogo e modo di articolazione. Va sottolineato che esiste una variabilità individuale nell’acquisizione dei suoni, ma di solito il loro sviluppo, percorre delle tappe ben definite:

  • 2anni – 2anni e mezzo: producono in modo stabile i suoni M, N, P, B, T, D, K (C), G, F, L;
  • 2 anni e mezzo, 3anni: tutti i suoni prima elencati più i suoni v, s, ci e gi;
  • 3 anni, 3 anni e mezzo: tutti i suoni prima elencati più la z, gn ;
  • dopo i 3 anni e mezzo: tutti i suoni prima elencati più i suoni complessi come r, gl, sc.

La stabilizzazione del sistema fonologico si ha dai 4 anni ai 6 anni. Tuttavia per alcuni bambini, questo assestamento è più difficile da raggiungere. Quando notiamo, una mancata presenza di un suono, una cattiva pronuncia di parole (bino per vino) oppure un eloquio non comprensibile è consigliata una valutazione logopedica.

Dott.ssa Gabriella Laurino

Logopedista

DEGLUTIZIONE DISFUNZIONALE

DEGLUTIZIONE DISFUNZIONALE

La deglutizione è un meccanismo neuromuscolare che va incontro ad una fisiologica maturazione dal periodo infantile fino all’età adulta.

 

Per deglutizione disfunzionale (spesso impropriamente detta deglutizione atipica) si intende un’alterazione della deglutizione dovuta a uno squilibrio dei muscoli oro-facciali, caratterizzati dalla permanenza di alcuni movimenti della lingua non funzionali per la deglutizione adulta. Questo squilibrio influenza molti altri processi oltre la deglutizione stessa quali la suzione, la masticazione, la respirazione, la fonazione, la mimica e il gusto.

 

Nello specifico il meccanismo di sviluppo non evolve verso la fisiologica maturazione, ma rimane tendenzialmente come la deglutizione infantile in cui la spinta linguale avviene nell’area interdentale anteriore o laterale e non sullo spot palatino retroincisivo.

 

L’anomalia funzionale viene definita tale quando rimane presente oltre il periodo ritenuto fisiologico (circa 6/7 anni) ed in pratica come detto sopra la lingua, al momento dell’atto deglutitorio, spinge contro i denti o fra i denti, in posizione anteriore e/o laterale, invece di schiacciarsi contro il palato; in associazione ci sarà la presenza di un alterato comportamento neuromuscolare di tutto il distretto orofacciale.

 

E’ doveroso specificare che non è la spinta linguale in sé che crea il problema ma è la lingua che, non trovando un adeguato spazio funzionale, genererà uno squilibrio globale di tutte le strutture coinvolte. Poiché si tratta di una situazione complessa, si parla propriamente di squilibrio muscolare orofacciale (detto SMOF).

Per questo motivo si rende necessario un lavoro multidisciplinare grazie ad una stretta collaborazione tra varie figure come il Logopedista, l’Ortodonzista, il Foniatra e l’Osteopata.


Le cause principali possono essere:
• alterazioni delle strutture dentali e scheletriche in sviluppo o malocclusioni
• traumi, ferite o malattie del complesso muscolare oro-facciale
• postura della lingua scorretta causata da vizi orali (succhiamento della lingua, del pollice o uso prolungato del ciuccio)
• disfunzioni a carico del Sistema Nervoso Centrale
• respirazione orale con atteggiamento anomalo della lingua conseguente a patologie di natura otorinolaringoiatrica ed allergologica

 

La deglutizione disfunzionale va ad influenzare processi che vanno oltre la deglutizione stessa, generando:
• alterazioni estetiche e mimiche
• crescita anomala dei denti e alterazione dell’occlusione dentaria (sovraffollamento per mancato spazio)
• palato alto e stretto (ogivale)
• difetti di pronuncia di alcuni suoni

  • difficoltà di attenzione e concentrazione con possibile ricaduta sugli apprendimenti
    • problemi di masticazione
    • eccessivo muco dal naso, tosse, raffreddore e febbri frequenti.
    • disturbi alla vista
    • problemi posturali a carico della colonna vertebrale
    Una deglutizione scorretta interessa quindi anche altri apparati come quello respiratorio, quello gastrico, quello visivo e quello muscolo scheletrico.

 

Nello specifico:
• il palato stretto genera una difficoltà della lingua a sollevarsi determinando una respirazione prettamente orale; ciò induce un ristagno di muco nei seni paranasali e una conseguente infiammazione delle adenoidi e delle tonsille
• il bambino che ha difficoltà a deglutire è spesso affetto da otiti: il muco, anziché essere drenato nel cavo faringeo, ristagna all’interno della tuba uditiva
• le alterazioni della pressione aerea durante l’atto deglutitorio provocano una compressione della membrana cocleare, producendo suoni vaghi e fastidiosi che si traducono in acufeni
• una deglutizione disfunzionale aumenta la quota di aria ingerita generando aereofagia, con possibile presenza di irritabilità intestinale, tensione addominale e flatulenza
• l’atteggiamento tonico posturale scorretto del capo durante la deglutizione incide sulla postura generale generando a lungo scompensi che possono manifestarsi in sintomatologie muscolo scheletriche a carico dei segmento cervicale, dorsale o lombare

  • in conseguenza allo squilibrio scritto sopra si rilevano poi alterazioni di adattabilità nella funzionalità visiva: spesso si riscontrano difficoltà nella messa a fuoco (forie), strabismi e stanchezza oculare

 

Per quanto riguarda l’età adulta i possibili sintomi derivanti ad una deglutizione disfunzionale sono:
• problematiche respiratorie (ridotta mobilità del diaframma)

  • disturbi del sonno
    • problemi alla tiroide
    • click e disfunzioni dell’articolazione temporo mandibolare (ATM)
    • acufeni e ronzii
    • problemi digestivi (reflusso gastro esofageo)
    • cervicalgia
    • cefalea muscolo tensiva
    • dolore lombare

 

Il trattamento di elezione in caso di deglutizione disfunzionale e di squilibrio muscolare orofacciale è la terapia miofunzionale svolta dal Logopedista che, dopo un’attenta valutazione, metterà in atto il relativo programma riabilitativo personalizzato.
Il programma riabilitativo ha come obiettivo finale l’equilibrio armonico della muscolatura del viso e l’apprendimento del corretto meccanismo deglutitorio.

Per raggiungere tale obiettivo è necessario ripristinare le funzioni orali se alterate quali: la respirazione, l’alimentazione (masticazione – deglutizione), la produzione dei suoni del linguaggio, la mimica facciale, e l’eventuale lavoro posturale.

Attraverso l’Osteopatia vengono valutate le capacità di espressione, di sviluppo embriologico e di competenza di adattamento dei muscoli, legamenti, ossa e in generale di tutti i tessuti e fluidi della sfera cranica in rapporto diretto all’espressione di deglutizione, ma anche di tutte quelle strutture che, a distanza, possono condizionarla o esserne condizionate.

 

Alcune aree di particolare interesse da individuare ed approcciare ai fini del trattamento osteopatico sono:

  • componenti della loggia cervicale
  • capacità di espressione degli archi faringei
  • base cranica (SSB) e ossa temporali
  • area cranio cervicale OAE (C0-C1-C2) 
  • membrane durali craniche
  • strutture dello splancnocranio (mascellare, etmoide, ossa zigomatiche, palatini, vomere e ossa nasali)
  • muscolatura sovra e sottoioidea (in particolare muscolo miloioideo)
  • fascia cervicale media e profonda
  • relazioni tra ioide-sterno e ioide-cervicali
  • lingua in relazione con occipite e ioide
  • sterno (in proiezione dell’esofago)
  • diaframma


L’Osteopata indaga sulle aree in sovraccarico citate sopra, armonizzando tra loro le strutture che devono assolvere alla deglutizione, andando a far ritrovare il corretto spazio funzionale e di espressività delle componenti deglutitorie e respiratorie da cui gioveranno anche l’articolazione verbale fonatoria ed il riequilibrio della muscolatura orofacciale.

 

Inoltre il lavoro di equipe ed integrazione con il Logopedista (attraverso la terapia miofunzionale per riorganizzare lo schema motorio) e l’Ortodonzista (per modulare/correggere l’occlusione, le arcate dentarie e il morso) ottimizza i tempi di recupero e garantisce il mantenimento dei risultati ed evita possibili recidive.

Andrea Viale DO – Osteopata

Dott.ssa Gabriella Laurino – Logopedista

Cellulare si, cellulare no? Ecco cosa dice la ricerca in psicologia

Cellulare si, cellulare no? Ecco cosa dice la ricerca in psicologia

Buongiorno, sono la dott.ssa Giulia Franco, sono psicologa dell’età evolutiva e presso lo Studio Progetto Vita mi occupo di valutazione, trattamento e potenziamento in età evolutiva.Nella quotidianità del mio lavoro mi capita spesso di incontrare bambini e ragazzi completamente assorbiti dal cellulare, che faticano a relazionarsi con i pari e con gli adulti, per questo motivo ho deciso di approfondire questa nuova realtà e di riportare in questo articolo alcune curiosità che potrebbero essere interessanti.

 

Come dicevo, vedere adulti, ma soprattutto ragazzi e anche bambini in tenera età con uno smartphone in mano ormai fa parte della nostra quotidianità.

Visto l’uso importante che ormai facciamo di questi strumenti, la ricerca in ambito psicologico ha deciso di concentrare la propria attenzione sulle conseguenze che un eccessivo utilizzo del cellulare può provocare nel nostro cervello e nel nostro essere “animale sociale”.

Hai mai provato a pensare quante volte utilizzi il cellulare in una giornata?

Recenti studi hanno fornito dati importanti a tal proposito: la nota azienda tecnologica Apple afferma che ogni giorno sblocchiamo il cellulare almeno 80 volte, mentre Dscout, società americana esperta in ricerche di mercato, riporta che in media tocchiamo, digitiamo e “strisciamo” il nostro cellulare circa 2600 volte al giorno, e questo lo facciamo in particolari momenti della giornata, soprattutto durante i pasti, riunioni, o nel tempo che dovremmo dedicare ad una bella dormita.

Una domanda che dovremmo porci è quindi..Quali sono le conseguenze di questo utilizzo così massiccio dello smartphone?

L’effetto più evidente è il ritiro e l’isolamento sociale in momenti in cui si potrebbe facilmente creare relazioni, ad esempio durante la ricreazione a scuola o la cena in famiglia, oppure ancora mentre si prende un caffè con un amico o con il partner (Chiu, S.I., 2014, Samaha, M., Hawi, N.S., 2016; Westermann, T., Moller, S., Wechsung, I., 2015)

Pensate che questo comportamento ha un nome! Con il termine “Phubbing” (da “phone”=telefono e “snubbing” =ignorare, snobbare, trascurare), neologismo inglese recentemente coniato, ci si riferisce al comportamento del non prestare attenzione all’interlocutore preferendo lo smartphone. 

Così l’uso eccessivo di smartphone può mettere a rischio i rapporti personali e professionali, e le ricerche lo dimostrano: nel 2016 il prof. James A. Roberts della Baylor University ha coinvolto in una ricerca 145 persone tra uomini e donne, e di questi il 46% ha dichiarato di aver “snobbato” con lo smartphone il proprio partner almeno una volta, il 23% ha dichiarato che il “phubbing” avesse causato la fine della propria relazione, infine il 37% si era sentito depresso almeno una volta a causa del phubbing.

 

Esiste poi un altro effetto indotto dall’uso eccessivo dello smartphone..

Non appena il cellulare suona o vibra avviene una complessa interazione di sostanze chimiche del cervello: in primis la dopamina, un neurotrasmettitore responsabile della motivazione e del comportamento alla ricerca di ricompense, e che consente con il tempo il formarsi di un’abitudine o di una dipendenza. Il rilascio di questa sostanza, con il passare del tempo, avviene anche prima della ricezione della notifica, e per questo la persona sentirà sempre più la motivazione all’utilizzo. 

Per questo abbiamo il bisogno di controllare e utilizzare il telefono sempre più spesso per ottenere la stessa risposta cerebrale. Di conseguenza non avere il cellulare a disposizione per un determinato periodo di tempo, più o meno lungo, può provocare uno stato d’ansia o addirittura sintomi simili all’astinenza.

E se controlliamo il cellulare anche durante lo studio o il lavoro, esso influenza negativamente la produttività e l’attenzione che dovremmo impiegare per svolgere correttamente le nostre attività. (Giedd, J., N., 2012; Choudhury, S., 2013; Berridge, Robinson, 1998)

 

In conclusione, l’obiettivo di questo articolo non vuole essere la svalutazione della tecnologia e delle connessioni social, ormai parte integrante e fondamentale della vita di ognuno di noi, soprattutto dopo l’emergenza Covid-19, ma vuole attivare delle riflessioni basandosi su osservazioni ottenute da ricerche scientifiche.

Dott.ssa Giulia Franco

Psicologa dell’età evolutiva

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA:

(https://www.thebestbrainpossible.com/phone-mental-health-depression-anxiety-addiction)

E ORA RILASSIAMOCI…INTRODUCIAMO IL RESPIRO PROFONDO

E ORA RILASSIAMOCI…INTRODUCIAMO IL RESPIRO PROFONDO

Rimaniamo concentrati sulle nostre emozioni… Quando non sappiamo come gestirle adeguatamente, specialmente quando tratteniamo dentro di noi troppa rabbia, senso di colpa, tristezza e tutte le altre sensazioni spiacevoli, rischiamo che il nostro corpo scoppi all’improvviso! 

Con i bambini spesso cerchiamo delle metafore che ci aiutano a farli entrare in contatto con il funzionamento del loro corpo… Recentemente abbiamo sfruttato la molla, la quale una volta tirata troppo in tensione rischia di scapparci via di mano! Ecco, anche il nostro corpo potrebbe “saltare” via proprio come una molla ed una delle reazioni più tipiche in età evolutiva è il tic. Ma che cos’è? Si tratta di una manifestazione psicosomatica, un segnale di allarme, che il corpo sta inviando all’esterno per chiedere aiuto… E se lo notiamo nei nostri figli cosa possiamo fare per aiutarli?

Sicuramente possiamo guidarli al rilassamento che permette di scaricare parte delle tensioni ed essere poi più predisposti al dialogo e alla ricerca di una soluzione alternativa e maggiormente funzionale al problema. Usare degli esercizi di respirazione può aumentare la capacità di autocontrollo nei nostri bimbi.

Scopriamo insieme come funziona il respiro profondo:

“Mettetevi in una posizione comoda. Mettete una mano sul vostro stomaco e un’altra sul vostro torace. Inspirate lentamente e guardate quale delle vostre due mani si muove. I respiri poco profondi fanno muovere la mano sul torace, i respiri profondi fanno muovere la mano sullo stomaco. Adesso, lentamente, ispirate dal vostro naso. Mentre voi inspirate, contate lentamente fino a 3 e sentite il vostro stomaco che si espande sotto la vostra mano. Trattenente il respiro per 1 secondo e quindi lentamente espirate mentre di nuovo contate fino a 3. Mentre voi inspirate, pensate alla parola “inspira”. Quando espirate, pensate alla parola “rilassati”.

Inspira 1…2…3

Trattieni 1…

Rilassati 1…2…3

Continuate l’esercizio di respiro profondo per alcuni minuti, cercando di sentirvi sempre più rilassati ogni volta che espirate.” 

La respirazione, per essere profonda, deve coinvolgere il diaframma… Ma come fare? Respirando con la pancia, gonfiandola e sgonfiandola quasi fosse un palloncino, per ritornare alle nostre amate metafore. Con alcuni bambini, in sede di terapia, si utilizzano anche dei materassini per farli stendere a terra ed essere comodi per poi, con l’aiuto di una barchetta di carta, farla “navigare” nel mare (la pancia) per far capire loro il movimento ondulatorio che devono assumere. 

Ora possedete anche voi tutte le istruzioni per provarci a casa!

Dott.ssa Chiara Zaghini 

Psicologa dell’Età Evolutiva

BIBLIOGRAFIA: 

Di Pietro Mario (2014). “L’ABC delle mie emozioni”. Trento, Erickson.

Lochman et al. (2022). “Coping Power – Programma per il controllo di rabbia e aggressività in bambini e adolescenti”. Trento, Erickson.

“FACCIAMO FINTA CHE…” UNO SGUARDO SUL GIOCO SIMBOLICO

“FACCIAMO FINTA CHE…” UNO SGUARDO SUL GIOCO SIMBOLICO

Fin da bambini veniamo a conoscenza della formula “c’era una volta…” che ci permette di entrare in un mondo parallelo fatto di luoghi fantastici, principi e principesse, streghe e maghi, oggetti magici e creature mistiche. Dopo un po’ siamo noi stessi a ricreare quei mondi che per tanto tempo erano stati solamente raccontati e immaginati e proprio attraverso le storie siamo in grado di rielaborare i nostri vissuti. Ecco che quindi i bambini iniziano a imbastire storie fantastiche, a volte più attinenti alla realtà, altre volte talmente inverosimili che anche noi adulti ci meravigliamo (e per fortuna!).

Questo tipo di gioco viene chiamato simbolico e si sviluppa già dai primi anni di vita del bambino. Per poter arrivare a un gioco complesso come quello del “far finta” è necessario superare alcune tappe fondamentali.

Innanzitutto, cos’è il simbolo?

Secondo gli antichi Greci, il simbolo era un mezzo di riconoscimento, che permetteva ai membri appartenenti di una stessa famiglia di riconoscersi tra di loro. Ma con il termine “simbolo” si identifica anche qualsiasi elemento (segno, gesto, oggetto, animale, persona) atto a suscitare nella mente un’idea diversa da quella offerta dal suo immediato aspetto sensibile, ma capace di evocarla attraverso qualcuno degli aspetti che lo caratterizzano. 

La capacità di attribuire a un oggetto un simbolo è molto complessa e si acquisisce nel tempo, grazie alla maturazione del sistema nervoso centrale e alla stimolazione ambientale ed è costituita da due abilità in particolare: quella di astrazione e quella di categorizzazione. Una volta raggiunte queste tappe il bambino comincerà a dare significati nuovi e inusuali a cose presenti e utilizzate nella vita quotidiana: un bastone può diventare una bacchetta magica o una spada, un cucchiaio può diventare un microfono. 

Mano a mano che il bambino continua a svilupparsi, comincerà a mettere in scena alcuni “teatrini” che richiamano fatti della vita quotidiana, come dare da mangiare a un bambolotto o ad alcuni animali, fare finta di essere il dottore o il meccanico. In questo modo il bambino può rielaborare e fare nuovamente esperienza, attraverso il gioco, del proprio vissuto e delle proprie emozioni, prendendone coscienza. Successivamente all’interno di queste messe in scena, saranno chiamati altri giocatori che rappresenteranno nuovi personaggi, sia veri che inventati, dando vita a storie che saranno sempre diverse e ricche di significato. 

Come favorire lo sviluppo del gioco simbolico?

Si parte da una selezione di oggetti: per sviluppare una storia non sono necessari troppi oggetti e nemmeno troppo elaborati. La scelta migliore è data dalla semplicità, il lavoro principale è dato dalla fantasia che permette al bambino di dare significato agli oggetti che sta usando. È bene quindi mettere da parte giochi strutturati, complessi e ricchi di stimoli, per lasciare spazio a scatole e scatoloni vuoti, mattoncini, coperte, corde e cuscini. 

È importante anche definire uno spazio di gioco: quanti luoghi ci sono all’interno della storia? Come sono delimitati? Anche in questo caso vale la regola della semplicità: pochi ma ben definiti. Uno spazio ben definito ci permette di sviluppare i concetti topologici. 

Un altro elemento indispensabile è il tempo: attraverso il gioco simbolico possiamo aiutare i bambini a sviluppare i nessi logici temporali, andando con la mente avanti e indietro nel tempo. Inoltre all’interno del gioco è importante rispettare i tempi del bambino: può essere che la storia vada più velocemente o più lentamente a seconda di quello che è il vissuto del bambino in quel momento esatto, è bene ascoltare e rispettare i suoi tempi, per permettergli di elaborare ciò che può dare ancora disagio. 

Ora che ci sono tutti gli elementi, manca l’ingrediente segreto: l’emozione. Tutti noi ricordiamo principalmente le storie che ci hanno emozionato. Il gioco è una storia che possiamo scrivere insieme ai bambini e che ci può far emozionare. 

Quindi iniziamo: C’era una volta…

Dott.ssa Ilaria Dissette

TNPEE

BIBLIOGRAFIA

  • Vocabolario Treccani, simbolo
  • Aucouturier B.-A. LaPierre, La simbologia del movimento. Psicomotricità ed educazione, ed. Edipsicologiche, 1978.
  • Camaioni L., Di Blasio P., Psicologia dello sviluppo, Il Mulino Manuali, 2008
  • Bondioli A., Gioco e Educazione, 2013, Franco Angeli