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Conosciamo il disturbo del calcolo!

Conosciamo il disturbo del calcolo!

Bentornato caro lettore,

sono la Dott.ssa Giorgia Ghiraldini e oggi affrontiamo insieme la “discalculia evolutiva”. Se sei qui forse è perché ne hai già sentito parlare o magari sei solo curioso di scoprire di cosa si tratta ma in qualunque caso… partiamo!

La discalculia evolutiva o disturbo specifico del calcolo è un disturbo specifico dell’acquisizione e/o dell’apprendimento del calcolo, degli aspetti relativi al numero e alla quantità.

Tale disturbo è caratterizzato da due differenti profili:

  • Deficit nelle componenti di cognizione numerica basale:
    • Subitizing;
    • Quantificazione;
    • Comparazione;
    • Seriazione;
    • Strategie di calcolo a mente;
  • Debolezza nelle procedure esecutive e nel calcolo.

Non solo. Può essere caratterizzata da eventuali fragilità nelle aree definite di “dominio generale” oppure nelle aree denominate di “dominio specifico”. Tra le componenti di dominio generale troviamo ad esempio le funzioni esecutive, memoria, attenzione mentre tra le componenti di dominio specifico troviamo il confronto di numeri, i fatti aritmetici, calcolo mentale, calcolo scritto, e tutto ciò che riguarda specificatamente le abilità logico-matematiche in senso stretto.

Possibili campanelli d’allarme

  • Scarse abilità nel calcolo;
  • Difficoltà nel conteggio;
  • Difficoltà nelle rappresentazioni di quantità simboliche.

Come si arriva alla diagnosi?

La diagnosi avviene tramite la somministrazione di prove standardizzate le quali vanno a valutare:

  • Abilità lessicali;
  • Processi semantici;
  • Abilità pre-sintattiche;
  • Abilità visuo-spaziali;
  • Strategie di conteggio;
  • Padronanza e fluidità con le combinazioni numeriche.

Quando si può fare diagnosi?

La diagnosi di discalculia evolutiva può avvenire a partire dalla fine della classe terza della scuola primaria. Ciò non toglie la possibilità di osservare i comportamenti del bambino relativamente alle abilità logico-matematiche nelle classi precedenti e durante l’età prescolare, attraverso la valutazione dei prerequisiti degli apprendimenti.

Non abbiate timore di chiedere aiuto nel momento in cui notate fragilità di questo tipo nei vostri bambini. Avere una diagnosi permette un maggior benessere nella vita del bambino e permette lui di affrontare la propria vita grazie all’utilizzo di strategie e strumenti funzionali alle proprie caratteristiche.

Dott.ssa Ghiraldini Giorgia

Pedagogista

Bibliografia:

  • Cornlodi C., I disturbi dell’apprendimento, Il mulino, 2023, Bologna;
  • Vio C., Lo Presti G, Tressoldi P.E., Diagnosi dei disturbi specifici dell’apprendimento, Erickson, 2022, Trento.
CAPIRE IL BINGE EATING: UNA GUIDA SEMPLICE PER TUTTI

CAPIRE IL BINGE EATING: UNA GUIDA SEMPLICE PER TUTTI

Il Binge Eating Disorder (BED), noto anche come disturbo da alimentazione incontrollata, è un disturbo alimentare caratterizzato da episodi ricorrenti di assunzione eccessiva di cibo in un breve lasso di tempo, spesso accompagnati da sensazioni di perdita di controllo. 

Questo problema va oltre il semplice eccesso alimentare occasionale, trasformandosi in una condizione che può avere gravi implicazioni sulla salute fisica e mentale delle persone coinvolte. In questo articolo, esploreremo insieme che cosa significa soffrire di Binge Eating Disorder, i sintomi che lo contraddistinguono e accennerò brevemente al trattamento possibile.

 Ti capita mai di mangiare una grossa quantità di cibo in un breve lasso di tempo e poi di sentirti in colpa o di provare vergogna? Questo articolo potrebbe fare al caso tuo!

Questi episodi infatti possono essere definiti abbuffate: l’abbuffata nello specifico in ambito alimentare viene definita come un episodio di alimentazione eccessiva, incontrollata a cui segue un disagio significativo in cui l’individuo sperimenta un senso di perdita di controllo.   Questo problema può avere un impatto significativo non solo sulla salute fisica ma, anche, emotiva e sociale. Vi possono essere infatti conseguenze a livello fisico come ad esempio l’obesità, conseguenze emotive dettate da emozioni negative e bassa autostima ed infine conseguenze sociali come difficoltà relazionali sino ad arrivare a vere e proprie forme di isolamento.

Sintomi e caratteristiche del disturbo:

Come riconoscere che siamo in fase di abbuffata? Ecco di seguito alcuni segnali utili per poterla riconoscere:

– Sensazione di perdita di controllo. Questa si presenta ad esempio quando si mangia oltre il punto si sazietà e ci si sente incapace di fermarsi

– Velocità nell’assunzione di cibo. Ciò capita quando vengono assunte grandi quantità di cibo in un breve lasso di tempo, molto più di quanto la maggior parte delle persone farebbe in circostanze simili. Inoltre capita che il cibo non venga assaporato appieno.

– Consumo di grandi quantità di cibo senza un’effettiva fame. Capita di mangiare molto abbondantemente senza essere affamati.

-Sensazione di emozioni spiacevoli e di disagio fisico. Le persone dopo essersi abbuffate provano spesso emozioni negative verso se stessi come, vergogna, senso di colpa e disgusto. Il disagio è inoltre percepito anche fisicamente con conseguente senso di pesantezza e nausea.

Possiamo distinguere l’abbuffata ulteriormente in:

Abbuffata oggettiva ossia una vera abbuffata come descritto nelle righe precedenti

Abbuffata soggettiva ossia un’abbuffata dove la quantità di cibo ingerita non è oggettivamente eccessiva

La terapia per il disturbo

Per questo disturbo appartenente alla più vasta categoria dei disturbi del comportamento alimentare, è sicuramente necessario per la terapia e l’intervento un approccio di tipo multidisciplinare che coinvolga quindi più figure professionali. Le figure coinvolte saranno non solo lo psicoterapeuta per il percorso individuale, ma anche altre figure fondamentali come il nutrizionista e, in caso di necessità, anche lo psichiatra per affiancare una terapia farmaceutica. Spesso la famiglia può essere un alleato importante per il superamento del disturbo, un punto di riferimento importante all’interno del percorso per supportare il paziente ed aiutarlo a mettere in atto le strategie adeguate.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale nello specifico può fornire un approccio strutturato e mirato al trattamento del binge eating, aiutando i pazienti a identificare e affrontare i fattori emotivi, cognitivi e comportamentali alla base del disturbo alimentare. Il percorso si concentra sull’identificazione e sulla modifica dei pensieri distorti legati all’alimentazione, all’immagine corporea e alle emozioni negative.

Il processo terapeutico inizia insieme al paziente con una valutazione iniziale in cui si va a comprendere la storia personale, gli schemi alimentari, le credenze distorte e le emozioni coinvolte nel BED. Questa fase aiuta a personalizzare il trattamento e a identificare i fattori scatenanti specifici. Successivamente si collabora col paziente per aumentare la consapevolezza dei comportamenti alimentari disfunzionali messi in atto. Il terapeuta fornisce informazioni sulle caratteristiche del disturbo, sul ciclo binge-eating e sui rischi per la salute associati. Si prosegue con il riconoscimento di pensieri negativi legati all’alimentazione. Questo passo è fondamentale per interrompere il ciclo negativo e sviluppare nuove prospettive. Di fondamentale importanza sarà poi la gestione delle emozioni disfunzionali vissute dalla persona, si insegneranno nuove strategie di regolazione emotiva alternative all’abbuffata. Si aiuterà anche a modificare i comportamenti alimentari stabilendo insieme al paziente nuove abitudini alimentari più sane e sostenibili. L’obiettivo è sviluppare una relazione equilibrata con il cibo. 

Sono Alessia Lazzaretto, psicologa e psicoterapeuta presso Studio Progetto Vita. Se hai dubbi ed hai bisogno di supporto per gestire questa tipologia di problematiche non esitare a contattarmi.

Dott.ssa Alessia Lazzaretto

Psicoterapeuta cognitivo comportamentale

Riferimenti bibliografici:

 

  • American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition. Arlington, VA, American Psychiatric Association.
  • Christopher G. Fairburn. La terapia cognitivo-comportamentale dei disturbi dell’alimentazione. 
  • Christopher G. Fairburn. Vincere le abbuffate. Come superare il disturbo da binge eating. 
Il lavoro e il suo stress

Il lavoro e il suo stress

Le caratteristiche dell’ambiente di lavoro, e anche l’attuale precarietà del mondo del lavoro stesso, possono portare l’individuo a sviluppare disagi di natura psico-sociale, come lo stress lavoro correlato e il burnout.

Lo stress correlato al lavoro:

Ogni attività lavorativa presenta una componente di stress legate a un carico di lavoro eccessivo e alla necessità di fare fronte a imprevisti e richieste a volte poco prevedibili. Lo stress lavoro correlato spesso deriva da un eccesso dei carichi di lavoro, habitat lavorativo non adeguato, relazioni interpersonali conflittuali. Lo stress lavoro correlato esercita inoltre dirette conseguenze sulla performance lavorativa, fino a manifestarsi nei termini di errori sul lavoro, infortuni, conflitti con i colleghi, prolungate assenze e dimissioni del lavoratore. Le conseguenze si evidenziano anche per l’azienda, che vede diminuire la qualità dei prodotti e servizi da essa stessa offerti.
In Europa si stima che un lavoratore su quattro sia affetto da stress lavoro correlato.
Lo stress, a piccole dosi, può costituire elemento motivazionale che permette al lavoratore di impegnarsi nello svolgimento delle sue mansioni e quindi potenziare le prestazioni individuali e il rendimento per l’azienda. I problemi nascono quando lo stress è troppo elevato o duraturo, con ripercussioni psicofisiche che diventano sempre meno gestibili da parte della persona. In tal caso lo stress è descrivibile come sensazione di non riuscire a far fronte alle richieste esterne o di non trarre gratificazione dai propri sforzi. È così che l’individuo inizia a soffrirne e ad avvertire che il problema influisce sul versante psichico, sociale e somatico. Sensazione di stanchezza, ridotta tolleranza degli stati emotivi negativi, tono dell’umore basso, alterazioni della fame e del sonno, ritiro sociale e a volte variazioni nel consumo di alcol e fumo sono alcuni degli indicatori di tale stato.

Stress e burnout: sintomi simili per problemi diversi.

Lo stress lavorativo è una condizione che può condurre a sua volta alla sindrome del burn-out. Il burnout è identificabile come una sindrome da esaurimento emotivo che alla condizione di stress aggiunge la componente relazionale.
In particolare, il burnout alcuni elementi cardine:
• esaurimento delle risorse e dell’energia necessarie per affrontare il lavoro quotidiano;
• distacco mentale dalle persone e dalle attività che riguardano l’ambiente lavorativo;
• vissuto di inadeguatezza e sensazione di sovraccarico in termini di richieste di lavoro.
Tra le cause, è possibile individuare la presenza di elevata richiesta lavorativa, scarsa libertà decisionale, inadeguato supporto sociale, a cui si aggiungerebbero caratteristiche personali di eccessiva responsabilizzazione di sè.

Chi è maggiormente colpito da burnout?

Il burn out può colpire persone che svolgono tutte le professioni, anche se sembra presentarsi più di frequente nei lavori che prevedono un contatto relazionale connotato da forte coinvolgimento emotivo (ad esempio: professioni sanitarie, forze dell’ordine, insegnanti..).

Come prevenire stress lavorativo e burnout?

I consigli di buonsenso ricordano alle persone che è possibile cercare di prevenire stress e burnout prendendosi degli spazi per curare il proprio benessere psicofisico, per dedicarsi a degli hobby, condurre uno stile di vita sano, mantenere una vita sociale attiva. In alcuni casi tali strategie non si rivelano sufficienti e a quel punto può essere necessario rivolgersi a uno psicoterapeuta. La persona colpita da stress e burnout può infatti vedere peggiorare la propria situazione sotto l’aspetto emotivo, relazionale, fino a sviluppare disturbi psicopatologici conclamati.

La psicoterapia concede uno spazio di espressione del proprio malessere e consente di adottare una prospettiva maggiormente ampia, tesa a individuare e contrastare le ripercussioni che il burnout può esercitare a livello individuale, relazionale e ovviamente lavorativo.

Diana Mabilia

Psicoterapeuta e Psicologa del lavoro

Bibliografia

  • Aiello, A., & Tesi, A. (2016). STARE BENE NELLE ORGANIZZAZIONI: DALLO “STRESS LAVORATIVO” AL “BENESSERE ORGANIZZATIVO”. Bellandi G. & Giannini M.(a cura di). Milano: Franco Angeli.
  • Martini, M., & Converso, D. (2012). Lo studio del burnout in sanità: rapporto coi pazienti e relazione lavoro-famiglia come richieste e risorse. G Ital Med Lav Erg, 34(1).
  • Chirico, F., Taino, G., Magnavita, N., Giorgi, I., Ferrari, G., Mongiovì, M. C., & Imbriani, M. (2019). Proposta di un metodo per la valutazione del rischio di burnout negli insegnanti: il VA. RI. BO (Valutazione Rischio Burn-Out). G Ital Med Lav Erg [Internet], 41(3), 221-35.
  • Guglielmi, D., Depolo, M., Simbula, S., & Paplomatas, A. (2011). Prevenzione dello stress lavoro correlato: validazione di uno strumento per la valutazione dei rischi psicosociali nella scuola. Prevenzione dello stress lavoro correlato: validazione di uno strumento per la valutazione dei rischi psicosociali nella scuola, 53-74.
  • Selmanovic, S., Ramic, E., Brekalo-Lazarevic, S., & Alic, A. (2011). Stress at work and burnout syndrome in hospital doctors. Medical archives, 65(4), 221.
  • Winnubst, J. (2017). Organizational structure, social support, and burnout. In Professional burnout (pp. 151-162). Routledge.
  • Wallace, J. E. (2017). Burnout, coping and suicidal ideation: an application and extension of the job demand-control-support model. Journal of Workplace Behavioral Health, 32(2), 99-118.
  • Jeung, D. Y., Kim, C., & Chang, S. J. (2018). Emotional labor and burnout: A review of the literature. Yonsei medical journal, 59(2), 187-193.
  • Marc, C., & Osvat, C. (2013). Stress and burnout among social workers. Revista de Asistenta Sociala,
    (3), 121.
Aiuto, non riesco a decifrarla! Una guida pratica su come leggere una relazione

Aiuto, non riesco a decifrarla! Una guida pratica su come leggere una relazione

Ora mi rivolgo a voi: immagino vi sia capitato più volte di ritrovarvi in mano una relazione clinica effettuata da un professionista in cui compaiono numeri, sigle e altre cose indecifrabili, che però non vi sono stati adeguatamente spiegati. Ecco, sono qui per darvi qualche piccolo suggerimento su come interpretare una relazione, in particolar modo quelle riguardanti i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA).

Cosa sono le deviazioni standard?

Le deviazioni standard, abbreviate con la sigla DS, indicano quanto il punteggio ottenuto dai vostri figli si discosta dalla media della popolazione di riferimento su cui è stato standardizzato il test. Esiste un punteggio limite sotto al quale la prestazione risulta clinicamente significativa, cioè necessita di un intervento da parte di un professionista esperto. Mi riferisco alla soglia delle -2 deviazioni standard: quando leggete questo numero, preceduto anche dal simbolo “minore” (<-2DS), significa che la prestazione in quella prova è nettamente sotto la norma. 

Cosa sono i percentili?

I percentili, invece, permettono di posizionare la prestazione dei vostri figli in una sorta di scala che va da 0 a 100, in cui nel punto massimo abbiamo la migliore prestazione raggiungibile dalla maggior parte dei coetanei che hanno la stessa età e frequentano la stessa classe (cioè, hanno pari grado di scolarità). In questo caso, la soglia viene posta al 5° percentile: quando il punteggio si colloca al di sotto (<5° p.), è richiesto un intervento immediato. 

Cosa sono le fasce di prestazione?

Talvolta, vengono utilizzate delle sigle che corrispondono a determinate fasce di prestazione. Qui sotto vi lascio una piccola legenda, che potete tenere sottomano la prossima volta che vi cimentate nella lettura di una valutazione clinica degli apprendimenti scolastici.

  • PO = Prestazione Ottimale
  • CCR = Criterio Completamente Raggiunto
  • PS = Prestazione Sufficiente
  • RA = Richiesta di Attenzione
  • RII = Richiesta di Intervento Immediato

È la fascia RII a destare maggiore preoccupazione; infatti, in linea di massima, possiamo paragonarla proprio alle -2DS o al 5° percentile che abbiamo appena visto sopra.

Spero che questa rapida carrellata di numeri e sigle possa esservi utile per comprendere meglio i punteggi che i vostri ragazzi ottengono ai test diagnostici utilizzati durante le valutazioni. E ricordate…non abbiate paura a chiedere chiarimenti al professionista. Durante il colloquio di restituzione è suo dovere aiutarvi anche a decifrare questi dati. E se la questione non vi è ancora del tutto chiara, chiedetegli di ripetere nuovamente perché il professionista è lì a vostra disposizione anche per questo. Non dovete mai uscire dalla stanza senza aver chiarito tutti i vostri dubbi!

Dott.ssa Zaghini Chiara

Dottoressa in Psicologia dello Sviluppo

L’Osteopatia nella gestione della Malattia da Reflusso Gastro-Esofageo

L’Osteopatia nella gestione della Malattia da Reflusso Gastro-Esofageo

Il Reflusso Gastro-Esofageo (in inglese GERD, gastro-esophageal reflux disease) è la condizione clinica in cui vi è un’incapacità di gestione dei succhi acidi prodotti dallo stomaco, che risalgono lungo il tratto esofageo. E’ una condizione ad origine multifattoriale che colpisce un numero sempre più crescente di soggetti (4 milioni di Pazienti in Italia) ed è uno dei disturbi più comuni che i medici di base riscontrano nella loro pratica clinica quotidiana.

Caratterizzato dalla prolungata esposizione della mucosa esofagea ai succhi gastrici, il reflusso genera nel tempo infiammazione, erosione e nei casi più gravi ulcerazione con fibrosi della parte distale dell’esofago (esofago di Barrett). Quest’ultima forma è definita come una metaplasia cioè uno stadio pre-canceroso che se non curato adeguatamente potrebbe sviluppare la patologia più grave, il tumore o adenocarcinoma gastrico. 

I sintomi provocati dal reflusso gastro-esofageo sono svariati e spesso non sono facilmente riconoscibili, ma come esperienza principale vissuta dal Paziente vi è una sensazione di bruciore nella zona retrosternale che può irradiarsi in zona dorsale e salire sino alla mandibola. 

In aggiunta tra gli altri sintomi più o meno comuni riconducibili a questo stato infiammatorio possiamo evidenziare: difficoltà di deglutizione, mal di gola, dolore cervicale medio, perdita parziale o totale della voce, laringite, sinusite, asma, dolore sub-occipitale, difficoltà digestive o nausea, disturbi del sonno, senso di oppressione al torace, capogiri, tosse secca.

 

Essendo una problematica di origine multifattoriale le maggiori concause che portano a questa condizione sono: alimentazione poco salutare, obesità, stress psico-fisico, fumo di sigaretta, una pregressa condizione patologica di ernia iatale.

 

Tutto ciò porta ad una modifica funzionale anatomica della capacità contenitiva dello stomaco nei confronti dell’esofago che può cronicizzarsi e degenerare negli stadi descritti prima in quanto l’anatomia che compone l’area di giunzione tra gastro-esofagea va a cambiare la sua capacità elastica e contrattile.

La giunzione gastro-esofagea (cardias) è un complesso valvolare atto a prevenire la risalita dei succhi gastrici in esofago ed è composta principalmente da uno sfintere chiamato LES (Lower Esophageal Sphincter), collocato all’interno dello iato diaframmatico e circondato dalla componente fibrosa del diaframma stesso. Il reflusso gastrico è quindi impedito principalmente da tre componenti: un corretto angolo di inclinazione tra esofago e stomaco, la chiusura quasi totale del LES ad opera della muscolatura intrinseca, la pressione generata dalla giusta tensione del diaframma durante la respirazione (fase inspiratoria).

Il trattamento primario secondo la letteratura scientifica è identificato nell’approccio farmacologico attraverso la somministrazione di farmaci denominati inibitori di pompa protonica (tipo pantorc, pantopan, omeprazolo ecc..) ed in Italia questa classe di farmaci sono al secondo posto tra quelli più prescritti dai medici di base. In ogni caso questo approccio è esclusivamente sintomatico e richiede una continua somministrazione del farmaco innescando possibili effetti avversi per cui è necessario controllare il dosaggio e il tempo di esposizione. 

Le linee guida dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) prevedono infatti oltre alla terapia farmacologica iniziale l’adozione di una dieta equilibrata e il ricorso a terapie complementari come l’Osteopatia, la Psicoterapia e l’Agopuntura.

L’Osteopatia valuta le possibili cause del reflusso gastro- esofageo e dei disturbi del tratto di apparato digerente interessato dall’infiammazione, attraverso un approccio olistico al corpo e al suo funzionamento.

Nella valutazione osteopatica vengono analizzate le connessioni tra componente viscerale, struttura scheletrica e area neurologica deputata al controllo dell’organo, alla quale consegue l’intervento sulle cause prime del disturbo.

In particolare nei casi di reflusso l’osteopatia andrà ad indagare componenti disfunzionali relative al sistema neurovegetativo di competenza, area vertebrale dorsale e relazioni costali associate, diaframma toracico e relazioni delle pressioni tra i vari diaframmi corporei, area della base cranica e nervo vago, strutture viscerali (stomaco, esofago, duodeno,..), aree linfatiche e di connettivo connesse al GALT (sistema immunitario linfoide associato alla mucosa gastro-intestinale).

 

Trattare il reflusso gastro-esofageo con l’Osteopatia quindi significa fare in modo di ridurre le eventuali tensioni che si sono create a livello del cardias e dell’area circostanti, aiutando l’organismo a ritrovare l’equilibrio e la corretta motilità degli organi favorendo i meccanismi di autoguarigione ed autoregolazione.

Andrea Viale DO mROI

Bibliografia:

 

  • Moraes-Filho JP, Navarro-Rodriguez T, Barbuti R, Eisig J, Chinzon D, Bernardo W; Brazilian Gerd Consensus Group. Guidelines for the diagnosis and management of gastroesophageal reflux disease: an evidence-based consensus. Arq Gastroenterol. 2010 Jan-Mar;47(1):99-115. doi: 10.1590/s0004-28032010000100017. PMID: 20520983.
  • Thrift AP. Barrett’s Esophagus and Esophageal Adenocarcinoma: How Common Are They Really? Dig Dis Sci. 2018 Aug;63(8):1988-1996. doi: 10.1007/s10620-018-5068-6. PMID: 29671158.
  • VAEZI, M.F. (2006), Review article: the role of pH monitoring in extraoesophageal gastro-oesophageal reflux disease. Alimentary Pharmacology & Therapeutics, 23: 40-49. https://doi.org/10.1111/j.1365-2036.2006.02797.x
  • Kwiatek MA, Kahrilas PJ. Physiology of the LES. Dis Esophagus. 2012 May;25(4):286-91. doi: 10.1111/j.1442-2050.2011.01184.x. Epub 2011 Mar 8. PMID: 21385287.
  • Kwiatek, M.A., Pandolfino, J.E. and Kahrilas, P.J. (2011), 3D-high resolution manometry of the esophagogastric junction. Neurogastroenterology & Motility, 23: e461-e469. https://doi.org/10.1111/j.1365-2982.2011.01733.x
  • Malfertheiner P, Megraud F, O’Morain CA, Gisbert JP, Kuipers EJ, Axon AT, Bazzoli F, Gasbarrini A, Atherton J, Graham DY, Hunt R, Moayyedi P, Rokkas T, Rugge M, Selgrad M, Suerbaum S, Sugano K, El-Omar EM; European Helicobacter and Microbiota Study Group and Consensus panel. Management of Helicobacter pylori infection-the Maastricht V/Florence Consensus Report. Gut. 2017 Jan;66(1):6-30. doi: 10.1136/gutjnl-2016-312288. Epub 2016 Oct 5. PMID: 27707777.
  • Posadzki P, Ernst E. Spinal manipulations for the treatment of migraine: a systematic review of randomized clinical trials. Cephalalgia. 2011 Jun;31(8):964-70. doi: 10.1177/0333102411405226. Epub 2011 Apr 21. PMID: 21511952.
  • An Alternative Approach to the Gastroesophageal Reflux Disease: Manual Techniques and Nutrition” Luca Collebrusco, Rita Lombardini, Giovanna Censi, Open Journal of Therapy and Rehabilitation, Vol.5 No.3, 2017
  • Osteopathic Manual Therapy and Management of Gastroesophageal Reflux Disease-GERD By Jocelyn Glover BSc.Kin, BSc.AHN, D.O.M.P Halifax Osteopathic Centre, 2018
  • Lossing, K. (2011) Visceral Manipulation. In: Chila, A.G., Ed., Foundations of Osteopathic Medicine, 3rd Edition, Lippincott Williams & Wilkins, Baltimore, 845- 849.



Chi è il logopedista?

Chi è il logopedista?

“Il logopedista è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, svolge la propria attività nella prevenzione e nel trattamento riabilitativo delle patologie del linguaggio e della comunicazione in età evolutiva, adulta e geriatrica (art 1 del Decreto Ministeriale 14 settembre 1994, n.742)”

In altre parole, l’attività del logopedista è volta all’educazione e rieducazione di tutte le patologie che provocano disturbi della voce, della parola, del linguaggio orale e scritto e degli handicap comunicativi.

Cosa fa il logopedista?

In riferimento alla diagnosi e alla prescrizione del medico, possiamo immaginare questo lavoro come un percorso fatto a tappe; una prima tappa è rappresentata dalla valutazione che il professionista effettua, a cui fa seguito  la stesura del piano d’intervento all’interno del quale sono descritti  i relativi obiettivi terapeutici, che vengono eseguiti  all’interno di un progetto condiviso con una equipe multi-professionale. In contemporanea, un’altra tappa importante viene svolta insieme alla famiglia sostenendola attraverso attività di counseling,  e  condividendo con essa obiettivi e strategie. Ed infine monitora gli obiettivi raggiunti.

Come si diventa logopedisti?

Il cammino per esercitare la professione di logopedista inizia dopo aver conseguito una laurea triennale in logopedia che rilascia il titolo abilitante all’esercizio professionale. Il logopedista collabora con tutte quelle figure a lui complementari, dal foniatra allo psicologo dell’età evolutiva e non solo.

Quando si ha bisogno del logopedista?

Ti rivolgi ad un logopedista se ti stai ponendo queste domande: 

“perché non parlo bene?”;

“perché mio figlio non parla o parla male?”

“come posso fare a parlare meglio?”;

“perché non capisco quello che ascolto?”;

 “perché ho la voce rauca, come posso curarla”;

“perché balbetto”;

“perché il mio bambino pronuncia male alcune lettere?”;

“perché il mio bambino non sa leggere, scrivere bene?”

“perché mentre mangio mi affogo?”

  nello specifico si occupa delle seguenti patologie: 

–      Disturbi della fluenza (Balbuzie)

–      Disturbi dell’udito (sordità)

–      Disturbi della voce (disfonia)

–      Disturbi neuropsicologici da danno acquisito (afasia, disartria, agnosia, disfagia, aprassia)

–      Disturbi evolutivi: disturbi della comunicazione, disturbi del linguaggio, disturbi specifici d’apprendimento. 

 

È importante rivolgersi a un professionista che, come hai letto oltre al sapere e al saper fare, ti aiuterà anche a comprendere e a stare meglio.

Dott.ssa Gabriella Laurino

Logopedista