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L’OSTEOPATIA NELLA SFERA UROGENITALE MASCHILE: PROSTATITE E SINDROME DA DOLORE PELVICO CRONICO (CPPS)

L’OSTEOPATIA NELLA SFERA UROGENITALE MASCHILE: PROSTATITE E SINDROME DA DOLORE PELVICO CRONICO (CPPS)

La prostatite è un’infiammazione della ghiandola prostatica. 

In alcuni casi è dovuta ad un’infezione batterica, e può avere insorgenza acuta, o avere un andamento cronico nel tempo. 

La classificazione prevede 4 categorie di prostatiti:

  • Categoria I: prostatite acuta batterica
  • Categoria II: prostatite cronica batterica
  • Categoria III: prostatite cronica abatterica o sindrome cronica da dolore pelvico (CPPS)
  • Categoria IV: prostatite asintomatica

 

Si stima che il 50% degli uomini abbiano sofferto di prostatite almeno una volta nella vita. 

L’incidenza globale è attorno al 5-14%, con una prevalenza di rischio maggiore nella fascia di età tra i 20 e i 40 anni.

 

I segni e sintomi legati all’infiammazione prostatica sono: bruciore alla minzione (disuria), urinare spesso (pollachiuria) e dolore pelvico. La sintomatologia inoltre varia tra prostatite acuta e quella cronica.

 

La prostatite acuta si presenta con comparsa improvvisa di febbre, dolore nella regione perineale (tra lo scroto e l’ano), sovrapubica e alla schiena (aree dorso-lombari e lombo-sacrali). Sono inoltre presenti sintomi urinari irritativi, come aumento della frequenza urinaria (specialmente la notte), bruciore al momento della minzione, senso di urgenza minzionale. Sono presenti anche sintomi urinari ostruttivi, come difficoltà a urinare, un getto di urina ridotto, frequenti minzioni di poco volume con incapacità a svuotare del tutto la vescica, e ritenzione urinaria.

 

Una prostatite si definisce cronica quando i sintomi perdurano un periodo di tempo tipicamente maggiore ai 3 mesi e non è presente febbre.

La prostatite viene quindi diagnosticata in base alla presentazione clinica del paziente, all’esame obiettivo del medico Urologo, e con l’ausilio dell’esame delle urine e dell’urinocoltura. Il quadro clinico può essere ulteriormente completato da un uroflussometria, dallo studio del residuo urinario post-minzionale e da una eventuale ecografia trans-rettale. La maggior parte delle prostatiti batteriche, sia acute che croniche, sono associate a infezione delle vie urinarie, in particolare a cistiti. Il patogeno responsabile di circa l’80% delle prostatiti è l’Escherichia coli, tipicamente maggiore ai 3 mesi e non è presente febbre.

In medicina convenzionale la terapia antibiotica è il trattamento di scelta per la prostatite batterica acuta (di norma per 3-4 settimane), mentre nel caso di prostatite cronica, se batterica, la durata aumenta (6-8 settimane). Soprattutto nei casi di prostatite cronica possono essere affiancati altre classi di farmaci, che servono a ridurre il dolore e a ridurre la sintomatologia urinaria. Ogni inquadramento farmacologico sarà comunque adattato alla tipologia di Paziente e alla categoria di appartenenza del disturbo diagnosticato.

La medicina Osteopatica attraverso il contatto manuale e basandosi sulle stesse conoscenze anatomo-fisiologiche e patologiche della medicina tradizionale, ricerca alterazioni funzionali corporee che limitano la Salute dell’organismo (cioè la capacità di adattamento agli stimoli ambientali) in modo da favorire e stimolare i processi di autoguarigione propri del corpo umano.

Nelle problematiche quali la prostatite cronica o sindrome da dolore pelvico cronico (CPPS), le dorsalgie, lombalgie e sacralgie di origine urogenitale la valutazione e il trattamento osteopatico è finalizzato a migliorare i rapporti anatomici, la vascolarizzazione, il drenaggio e l’innervazione tra le varie strutture. In questo modo si sostiene il Paziente nel percorso medico specialistico, generando una possibilità ulteriore nel velocizzare il processo di guarigione dello stato infiammatorio cronico in corso, migliorando la qualità della vita e riducendo la sintomatologia talvolta invalidante che questi disturbi provocano.

Andrea Viale

DO – Osteopata

OSTEOPATIA IN AMBITO GINECOLOGICO: LA DISMENORREA

OSTEOPATIA IN AMBITO GINECOLOGICO: LA DISMENORREA

La dismenorrea è il termine con cui si indicano i sintomi correlati al ciclo mestruale ed interessa una grandissima parte delle donne, dal menarca alla menopausa, fino all’81% in alcuni casi.

La sintomatologia comprende una varietà di disturbi che comprendono:

  • il dolore addominale crampiforme
  • la lombalgia
  • la nausea
  • il mal di testa
  • la dissenteria 
  • la stipsi
  • la pesantezza agli arti inferiori

La dismenorrea può essere:

  • primaria (tipologia più frequente), si presenta fin dalla prima mestruazione e non è causata da alcuna patologia specifica. Può attenuarsi con il passare degli anni e scomparire a seguito della prima gravidanza.
  • secondaria, è legata a patologie ginecologiche come l’endometriosi, fibromi uterini e adenomiosi uterina. Inizia durante l’età adulta a meno che non sia causata da malformazioni congenite.

Le cause della dismenorrea primaria non sono state ancora chiarite, sembra avere un’origine multifattoriale in cui un ruolo importante sembra essere svolto dalle prostaglandine (dolore conseguente alle contrazioni uterine indotte dalle prostaglandine e riduzione del flusso ematico). Nella dismenorrea secondaria è possibile identificare un meccanismo anatomico scatenante il dolore in base al tipo di malattia pelvica presente.

La diagnosi di dismenorrea viene effettuata dal medico specialista ginecologo, il quale chiede alla paziente di descrivere i sintomi avvertiti ed esamina lo stato di salute degli organi riproduttivi attraverso la visita e l’ecografia transvaginale.

In caso di sospetta dismenorrea secondaria possono essere prescritti ulteriori accertamenti (risonanza magnetica, isteroscopia, laparoscopia).

In alcune aree geografiche quasi una donna su tre è costretta ad assentarsi per un paio di giorni al mese dalla scuola o dal lavoro. Inoltre è una condizione così presente nella nostra società, che spesso le donne scelgono di non parlarne nemmeno con il loro ginecologo o medico di base, credendo che quella sia una condizione implicita dell’essere donna.

In caso di dismenorrea primaria l’unico approccio terapeutico convenzionale possibile è quello a base di farmaci antinfiammatori non steroidei, che aiutano a contrastare il dolore, o di anticoncezionali. La pillola, infatti, impedisce l’ovulazione e, quindi, riduce l’intensità degli spasmi dell’utero. Spesso inoltre si ricorre alla supplementazione di magnesio (che riduce gli spasmi muscolari) in fase pre-mestruale.

Nel caso della dismenorrea secondaria la terapia più adatta dipende dalla patologia associata ai dolori.

La medicina Osteopatica può essere un valido alleato nel ridurre il dolore mestruale e nel miglioramento dei fattori associati. Il trattamento manipolativo osteopatico, interagendo con l’attività neurovegetativa, può migliorare la concentrazione delle sostanze pro infiammatorie responsabili del dolore mestruale. Inoltre può migliorare la congestione linfatica pelvica garantendo una corretta biomeccanica del bacino, della colonna lombare e alleviando le tensioni muscolari dell’addome e del pavimento pelvico, consentendo alla donna di vivere con maggiore serenità la propria quotidianità.

Il trattamento osteopatico si pone quindi come un approccio sicuro, efficace e complementare ad altre terapie seguite dalla Paziente per il trattamento della dismenorrea.

Andrea Viale DO – Osteopata

L’APPROCCIO OSTEOPATICO NEI BAMBINI AFFETTI DA DISTURBI DELL’ATTENZIONE (ADHD)

L’APPROCCIO OSTEOPATICO NEI BAMBINI AFFETTI DA DISTURBI DELL’ATTENZIONE (ADHD)

Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) è un disturbo neuro evolutivo che colpisce comunemente bambini e adolescenti, interessando il 5-15% della popolazione pediatrica, con un’incidenza doppia nei maschi. Tale disturbo è caratterizzato da una durata scarsa o breve dell’attenzione con aggiunta o meno di vivacità e impulsività eccessive non appropriate all’età del bambino, che interferiscono con le funzionalità o lo sviluppo. 

 

Si tratta di un disturbo cerebrale presente dalla nascita o che si sviluppa subito dopo.

Alcuni bambini manifestano difficoltà soprattutto di attenzione prolungata, concentrazione e capacità di portare a termine le attività; altri bambini sono iperattivi e impulsivi; altri ancora manifestano entrambi gli stati. 

Le cause di questa condizione clinica sono ancora sconosciute; gli studi hanno individuato molteplici processi eziologici tra cui i più probabili sono riconducibili a fattori genetici, traumatici, neurologici e ambientali. La ricerca indica che probabilmente l’ADHD è causato da alterazioni dei neurotrasmettitori (sostanze che trasmettono gli impulsi nervosi al cervello). Alcuni altri fattori di rischio sono basso peso alla nascita (inferiore a 1500 grammi), lesioni craniche, infezioni cerebrali, carenza di ferro, apnea ostruttiva nel sonno ed esposizione a piombo, nonché ad alcol o tabacco o droghe, prima della nascita. Può anche essere associato a eventi traumatici durante la prima infanzia.

 

I sintomi del disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività possono essere di entità da lieve a grave, possono diventare esagerati o costituire un problema in alcuni ambienti, in particolare a casa del bambino o a scuola.

Per la diagnosi delle difficoltà in bambini con profilo ADHD si utilizzano i criteri diagnostici clinici tra i quali il DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), i test BIA (Batteria Italiana per l’ADHD), il Test delle Campanelle di Biancardi/Stoppa, questionari compilati da genitori e insegnanti, oltre che osservazioni del bambino.

Il trattamento standard del disturbo da deficit di attenzione/iperattività si avvale dell’utilizzo di strategie psicologiche comportamentali, parent training e della terapia farmacologica con farmaci stimolanti come metilfenidato o destroanfetamina (in preparazioni a breve e a lunga durata d’azione). Studi controllati randomizzati mostrano che le terapie comportamentali e la terapia farmacologica sono meno efficaci se usate singolarmente per i bambini in età scolare, ma la terapia comportamentale o di combinazione è raccomandata per i bambini più piccoli. 

Sebbene i farmaci non determinino la correzione delle sottostanti differenze neurofisiologiche dei pazienti con disturbo da deficit di attenzione/iperattività, tuttavia sono efficaci nel ridurre la sintomatologia e permettono al paziente di partecipare ad attività e a compiti precedentemente impossibili a causa della scarsa attenzione ed impulsività. I farmaci permettono di controllare i comportamenti anomali potenziando così gli interventi cognitivo comportamentali, la motivazione e l’autostima.

L’impiego di medicine complementari e alternative per la gestione dei bambini con ADHD è stato a lungo indagato, eppure mancano ancora prove robuste a riguardo.

Un’iniziale risposta dalla medicina Osteopatica è partita nel 2012 con un interessante ed approfondito studio italiano pubblicato sul “Journal of American Osteopathic Association”.

L’obiettivo primario del presente studio è stato quello di determinare l’effetto della terapia manipolativa osteopatica sui livelli di attenzione nei bambini con ADHD. In particolare, sono state valutate le differenze nei punteggi Biancardi-Stroppa Test tra i bambini che hanno ricevuto il Trattamento Manipolativo Osteopatico (OMT) associato alle cure convenzionali e i bambini che hanno ricevuto soltanto la cura convenzionale.

Alla fine del periodo di studio, si è riscontrata una differenza statisticamente significativa tra il gruppo studio e il gruppo controllo rispetto i punteggi Biancardi-Stroppa Test nella rapidità, ma non nella precisione. Invece, con la regressione lineare multivariata, il Trattamento Manipolativo Osteopatico è stato associato positivamente a un cambiamento nel punteggio del Test Biancardi- Stroppa in termini di precisione.

 

Ciò che è emerso ha evidenziato un miglioramento nell’accuratezza e questo dimostra un miglioramento nelle capacità di concentrazione, focalizzazione e esclusione dei fattori distraenti. Importante è inoltre sottolineare che durante il periodo di studio non sono stati registrati effetti collaterali causati dal Trattamento Manipolativo Osteopatico.

 

Questo studio ha dunque mostrato gli effetti benefici dell’Osteopatia applicata ai bambini con ADHD. L’uso di OMT, in aggiunta alla terapia convenzionale, è stato associato a un miglioramento statisticamente significativo nell’attenzione. I risultati del presente studio randomizzato controllato suggeriscono perciò che il Trattamento Manipolativo Osteopatico, in aggiunta al trattamento convenzionale, può migliorare le prestazioni di attenzione selettiva e mantenuta nei bambini con Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività.

La medicina Osteopatica integrandosi con il team di figure professionali che ruotano attorno ai piccoli Pazienti, mantiene il suo compito di aumentare lo Stato di Salute, migliorando il grado di relazione con gli stimoli ambientali e modulando la risposta neurologica autonomica e centrale agli input esterni. In questo modo le riserve adattative e la gestione metabolica delle risorse potrà essere gestita al meglio e nei bambini che presentano un disturbo da ADHD questo si tradurrà in un’opportunità ulteriore nel favorire maggiori capacità di adattamento e di gestione della sintomatologia.

 

Andrea Viale DO – Osteopata

BIBLIOGRAFIA

 

  • Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders – DSM5
  • https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/pediatria/disturbi-dell-apprendimento-e-dello-sviluppo/disturbo-da-deficit-di-attenzione-adhd
  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/24778002/
La Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS) e l’approccio in Medicina Osteopatica

La Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS) e l’approccio in Medicina Osteopatica

In precedenza chiamata “colite spastica” o “disturbi gastrointestinali funzionali” o “colon irritabile”, è un disturbo dell’interazione intestino-cervello comune e debilitante. Interessa circa il 10% della popolazione, con un tasso più alto di prevalenza dai 20 ai 50 anni colpendo soprattutto il di sesso femminile. 

Si caratterizza attraverso la cronicità (sintomo insorto almeno 6 mesi prima della diagnosi) di un fastidio o dolore addominale ricorrente (cioè va e viene ad andamento fluttuante per almeno 3 giorni al mese negli ultimi 3 mesi) con almeno due delle seguenti caratteristiche

relazione alla defecazione (il dolore migliora dopo l’evacuazione), associazione con un cambiamento nella frequenza delle feci (intestino stitico, diarroico o misto, cioè alternanza tra stipsi e diarrea) o associazione con un cambiamento nella consistenza delle feci (criteri Diagnostici Internazionali di ROMA IV).

 

Essendo per definizione una sindrome (dal gr. syndromḗ “confluenza”, in medicina, un complesso più o meno caratteristico di sintomi, senza però un preciso riferimento alle sue cause e al meccanismo di comparsa) non è riconoscibile un singolo fattore scatenante ne la fisiopatologia è chiara, bensì è la combinazione di fattori fisiologici e psicosociali a generare e mantenere il disturbo. Non ci sono infatti cause organiche rilevabili mediante esami di laboratorio, esami di imaging o anatomopatologici.

 

Dal lato psico-sociale possiamo trovare atteggiamenti aberranti nei confronti delle malattie (la persona esprime il conflitto emotivo come disturbo gastrointestinale, solitamente in forma di dolore addominale), aspetti cognitivi ed emotivi (il disturbo è stato spesso considerato per molto tempo come puramente psicosomatico). Alcuni pazienti hanno disturbi d’ansia, depressione, disturbi di somatizzazione e si deve ricercare la presenza di problemi psicologici non risolti, inclusa la possibilità di violenze sessuali o fisiche.

 

Dall’altro lato si riscontrano fattori biologici, come la predisposizione e la suscettibilità individuale, alterazioni della motilità del tratto gastro intestinale (esagerato riflesso gastro-colico post-prandiale, alternanza stipsi-diarrea), la sensibilità dei visceri (iperalgesia viscerale) da rimodellamento delle vie neurali nell’asse intestino-cervello (brain-gut axis), la percezione soggettiva del dolore, l’alterazione della flora batterica (permeabilità intestinale, regime alimentare ricco di FODMAPs) ed infezioni intestinali (gastro enterite acuta). 

La situazione inoltre può essere amplificata dal punto di vista sintomatologico in presenza di intolleranze ed allergie alimentari, di un utilizzo cronico di farmaci (es. antinfiammatori, antibiotici) e di eventi psico-fisici stressanti. Il nostro intestino è considerato il nostro “secondo cervello”, vista la continua comunicazione con il nostro “primo cervello”. Per questo motivo, molti eventi stressanti a livello psichico si riflettono sull’intestino, e viceversa (problemi addominali che causano stress psicologici). 

Spesso i pazienti dichiarano una riduzione della qualità della vita e circa il 60% di essi lamenta anche debolezza ed affaticamento. La sindrome si presenta spesso associata con altri disturbi gastro intestinale come la dispepsia funzionale e la malattia da reflusso gastroesofageo, così come con altre patologie, inclusa la malattia celiaca. Tra i vari sintomi associabili alla Sindrome da Intestino Irritabile troviamo sintomi riconducibili a quadri di cefalea e dolore all’articolazione temporo-mandibolare, dolore dorso lombare, ansia, depressione, fibromialgia, fatica cronica, cistite, dolore pelvico cronico.

 

La diagnosi è clinica medica e gastro-enterologica ad esclusione, dal momento che i sintomi sono presenti ma non è presente una patologia d’organo che possa spiegarne la causa. 

Esistono però sintomi che possono necessitare di esami diagnostici specifici a cura del medico di base o dello specialista di riferimento:

  • insorgenza dopo i 50 anni di età
  • dimagrimento inspiegabile
  • anemia
  • febbre
  • sangue nelle feci
  • dolore che non migliora dopo l’evacuazione

Fra i test diagnostici utili per eseguire una corretta diagnosi differenziale vi sono:

  • Colonscopia: esame morfologico dell’intestino crasso con prelievi bioptici/asportazioni polipi
  • Breath test al lattosio: esame per verificare presenza o assenza di enzima Lattasi che digerisce zuccheri (se assente i sintomi possono essere riconducibili a intolleranza al lattosio)
  • Esami del sangue per la Celiachia: esame per verificare indici infiammatori e antigeni per la malattia celiaca (se presenti i sintomi possono essere riconducibili allergia al glutine)
  • Tomografia computerizzata: per escludere patologie d’organo in ambito addominale extra colico

 

Il trattamento in Medicina Convenzionale è sintomatico e consiste nell’assunzione di farmaci, inclusi anticolinergici e agenti attivi sui recettori serotoninergici.

Di fondamentale importanza un’adeguata educazione alimentare supportata dal Nutrizionista di riferimento permette di evitare cibi che producono gas intestinale e quelli che inducono diarrea. 

L’uso di probiotici per trattare la sindrome dell’intestino irritabile è aumentato negli ultimi anni data l’importanza del microbioma intestinale in questo disturbo.

La terapia psicologica di tipo cognitivo-comportamentale ha evidenziato la sua importanza nella gestione degli aspetti psico sociali inerenti la sindrome e permettendo di affrontare il disagio fisico gestendo le implicazioni emotive e comportamentali che esso porta con sé.

 

In Medicina Osteopatica, mettendo in particolare risalto la bidirezionalità comunicativa tra primo e secondo cervello e considerando la peculiare capacità del sistema nervoso autonomo (ortosimpatico, parasimpatico ed enterico) di gestire correttamente o meno lo stato infiammatorio intestinale locale e globale, si valutano le differenti aree del corpo che mancano di una corretta integrazione e che possono generare una manifestazione sintomatologica correlabile.

Nei casi di Sindrome dell’Intestino Irritabile l’Osteopata andrà ad indagare le componenti disfunzionali relative al sistema neurovegetativo di competenza, all’area vertebrale dorso lombare e sacrale associate, al diaframma toracico e pelvico e la loro relazione, all’area cranio cervicale deputata al controllo vagale, alle strutture viscerali (in particolare alle componenti del piccolo e grande intestino), alle aree linfatiche e di connettivo connesse al MALT (sistema immunitario linfoide associato alle mucose).

L’approccio all’IBS con l’Osteopatia è quello di andare a generare, attraverso le più appropriate tecniche viscerali e connettivali, un processo terapeutico di autocorrezione che possa ridurre le tensioni e i sintomi dolorosi a livello addominale, ripristinare il drenaggio linfatico e venoso per aiutare la corretta motilità intestinale e riequilibrare il sistema nervoso autonomo enterico favorendo l’adeguata comunicazione somato-viscerale e viceversa.

Andrea Viale DO mROI – Osteopata

BIBLIOGRAFIA

 

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4 ottimi motivi per cui portare il vostro neonato dall’Osteopata!

4 ottimi motivi per cui portare il vostro neonato dall’Osteopata!

Ieri, accompagnando all’uscita dello studio una coppia di neogenitori con il loro piccolo di due mesi e facendo entrare la Paziente successiva mi è stata rivolta, da quest’ultima, la seguente domanda: ma perché mai un bimbo così piccolo avrebbe bisogno dell’Osteopata?

Ovviamente nel rispetto del segreto professionale ho risposto in maniera concisa: Lei non reputa forse il parto come un momento traumatico anche per il bimbo oltre che per la madre? E se fosse un modo per fare vera prevenzione?


Riflettendo su quanto è avvenuto in studio ho pensato fosse necessario dare almeno 4 ottimi motivi per cui portare il vostro neonato dall’Osteopata!

Si potrebbe pensare quindi che un neonato o un bambino non abbia bisogno di una visita osteopatica data la sua giovanissima età, ma obiettivamente non c’è nulla di più sbagliato!

Accompagnare il proprio neonato dall’Osteopata è in realtà un’ottima scelta. L’elemento cardine da cui dovrebbe partire l’idea di questa scelta è tenere in considerazione che un bimbo appena nato ha trascorso ben 9 mesi all’interno della pancia della madre, in una condizione estremamente ristretta e in assenza di forza di gravità. Elementi che dovrà iniziare a gestire fin da subito, insieme alla capacità autonoma di respirazione polmonare, la luce negli occhi, i rumori ambientali e la sensazione termica del freddo da cui era protetto dal liquido amniotico, oltre al senso di sete e di fame che finora gli erano sconosciuti.

Ma analizziamo nel dettaglio questi 4 ottimi motivi!

  • Riequilibra i sovraccarichi della vita intrauterina e le tensioni causate dal parto

Come anticipato, la gravidanza permette al bimbo la crescita in uno spazio protetto e sicuro ma al contempo molto ristretto in cui si possono creare posture e tensioni a livello di varie strutture muscolo-scheletriche. L’opportunità di valutare e gestire già dalla prima infanzia eventuali scompensi della struttura ossea e disfunzioni dell’apparato membranoso e legamentoso può evitare lunghi percorsi di cura una volta adulti. Sin dalla vita intrauterina il feto può aver subìto condizionamenti che ne hanno provocato un disadattamento funzionale. Ad esempio, se durante la gravidanza la mamma soffre di problematiche muscolo scheletriche (sciatalgie o lombalgie), viscerali o sistemiche, probabilmente tutte le strutture coinvolte non riescono a compensare le richieste di un continuo adattamento dato dalla crescita del feto.

Il bacino inoltre, non essendo nella migliore condizione per affrontare gestazione e parto, può provocare compressioni anomale al futuro neonato ancora prima di nascere.

Inoltre, il momento del parto può causare ulteriori traumi alle strutture del neonato che magari non riuscirà a risolvere spontaneamente. Un parto lungo e difficile, che richiede magari l’utilizzo di farmaci o strumenti quali la ventosa, può segnare in modo importante i tessuti così delicati di un neonato. Il cranio ha sì la capacità di assorbire questi stress durante un parto naturale, ma alcuni neonati hanno le risorse necessarie per gestirne gli effetti in maniera eccellente, per altri il percorso è ben diverso e manifestano alcuni disturbi, che l’Osteopatia è in grado di intercettare e risolvere.

  • Ripristina le anomalie funzionali dell’apparato muscolo-scheletrico

L’intervento osteopatico consente il ripristino del corretto funzionamento strutturale del neonato, facilitando in questo modo il processo di sviluppo del suo organismo. Può risolvere diversi disturbi dell’apparato muscolo-scheletrico, come ad esempio la plagiocefalia posizionale. La plagiocefalia è quella condizione di asimmetria cranica lieve, dovuta ad errate posizioni del sonno o perché il piccolo tende a tenere sempre la testa dallo stesso lato, prevenendo così l’evoluzione di diversi quadri di alterazioni funzionali che potrebbero sfociare ad esempio in problematiche visive e occlusali o posturali (es. scoliosi).

  • Tutto lo sviluppo neuromotorio trae beneficio

Un ulteriore motivo per cui l’approccio osteopatico può rivelarsi fondamentale per un neonato è la risoluzione di altre numerose problematiche dato che l’approccio non invasivo fa in modo di stimolare la naturale capacità dell’organismo a generare processi di autoguarigione. Disturbi come coliche gassose, difficoltà respiratorie, difficoltà di suzione, stipsi, difficoltà ad addormentarsi o irrequietezza in generale possono essere valutate e reintegrate nell’equilibrio corporeo attraverso l’Osteopatia, in modo tale che le tappe evolutive dello sviluppo possano essere affrontate con serenità e con le giuste potenzialità.

  • Fare prevenzione per garantirgli uno stato di Salute eccellente

L’osteopatia in ambito pediatrico è di per sé una terapia preventiva, in quanto permette di intercettare aree di mancato adattamento che con il tempo potrebbero sfociare in vere e proprie problematiche, più o meno gravi, inerenti non solo l’aspetto posturale ma anche il comportamento cognitivo, la funzionalità del sistema immunitario, la capacità di gestione degli stati infiammatori locali. Attraverso l’Osteopatia è possibile quindi risolvere in tempi brevissimi stati di alterata funzionalità, grazie alla plasticità e ricettività del sistema, generando uno stato di Salute elevato e cioè creando quell’opportunità di migliore capacità adattiva del corpo in risposta agli stimoli ambientali esterni che il bimbo affronta nel suo presente e dovrà affrontare nel prossimo futuro.

Andrea Viale DO – Osteopata

Otiti ricorrenti nei bambini

Otite media ricorrente nel bambino

L’Otite ricorrente è una condizione infiammatoria dell’età pediatrica e colpisce i bambini solitamente tra i 6 mesi e i 6 anni. Viene definita otite media in quanto coinvolge la parte mediana dell’orecchio collocata subito dietro il timpano e ricorrente perché in circa un terzo dei piccoli pazienti che accusano questo disturbo, vi è una significativa ricorrenza degli episodi.

L’otite è molto comune nei bambini in quanto il sistema immunitario non ancora completamente sviluppato, gli stimoli ambientali del periodo (per esempio la scuola) e la struttura anatomica dell’orecchio in via di sviluppo (conformazione della tuba di Eustachio) favoriscono una maggiore trasmissione di virus e batteri e quindi una maggiore possibilità di sviluppo di infiammazione. 

Considerando l’anatomia si evidenzia come nel bambino le tuba di Eustachio ha uno sviluppo più corto ed orizzontale rispetto all’adulto, in cui la tuba definitiva dopo il completo sviluppo del massiccio facciale risulta essere più lunga e a decorso più verticale. In età pediatrica queste caratteristiche possono agevolare i batteri e i virus presenti nella gola e nel naso a raggiungere più velocemente l’orecchio andando a ridurre verso la faringe e favorendo il passaggio di agenti infettivi nel cavo del timpano.

La tuba di Eustachio permette il collegamento tra l’orecchio medio e la faringe svolgendo nel nostro corpo varie funzioni: il corretto drenaggio del muco e dei fluidi dall’orecchio medio, impedisce il reflusso in senso contrario dal rinofaringe ed equilibra le pressioni dell’orecchio interno con la pressione atmosferica contribuendo alla trasmissione delle onde sonore.

Detto ciò la sintomatologia riferibile ad un quadro di otite e che è basata solitamente sull’osservazione del piccolo Paziente è riconducibile ai momenti in cui il bimbo ad esempio si tira l’orecchio, si lamenta e piange, ha il sonno disturbato, presenta febbre e non reagisce a suoni normali.
L’inquadramento è di pertinenza del pediatra o dell’otorinolaringoiatra e per la diagnosi è utile la visualizzazione della membrana timpanica tramite l’esame otoscopico.
Nei bambini al di sotto dei 2 anni considerata la difficoltà nell’esecuzione dell’esame si ritiene che la diagnosi possa essere fatta in presenza di iperemia intensa, tensione della membrana timpanica e almeno uno dei sintomi di otite: dolore, febbre, vomito o diarrea.

Il trattamento medico tradizionale, secondo il giudizio del Pediatra di riferimento, è legato principalmente all’uso di antipiretici e antidolorifici per ridurre il dolore e abbassare la febbre causata dall’infezione acuta e, a seconda dei casi, di antibiotici per contrastare l’evoluzione dell’infezione.

L’Osteopatia in merito si è rivelata un trattamento molto efficace sia in fase acuta, come sostegno alla terapia convenzionale nella gestione dei tempi di convalescenza dell’infezione, sia in fase preventiva per ridurre la frequenza e l’intensità degli episodi di otite ricorrente.

La finalità del trattamento osteopatico è quella, dopo un’attenta valutazione del bimbo e nello specifico di tutta la mobilità in ambito cranico, di permettere un corretto drenaggio della tuba di Eustachio stimolando un’adeguata funzionalità locale e poi generale del sistema linfatico. Attraverso un approccio delicato e stimolante i processi innati di autoguarigione, l’Osteopatia permette di mantenere in equilibrio le tensioni che si possono creare a livello del viso, del tratto cervicale, del collo e del torace.

Attraverso il trattamento osteopatico si potranno quindi far emergere più competenze e capacità di adattamento agli stimoli ambientali andando a sostenere e rafforzare il sistema immunitario nel suo complesso, avendo quindi maggiori possibilità nell’evitare la ricorrenza dell’infiammazione.

Andrea Viale DO mROI – Osteopata

L’Osteopatia nella gestione della Malattia da Reflusso Gastro-Esofageo

L’Osteopatia nella gestione della Malattia da Reflusso Gastro-Esofageo

Il Reflusso Gastro-Esofageo (in inglese GERD, gastro-esophageal reflux disease) è la condizione clinica in cui vi è un’incapacità di gestione dei succhi acidi prodotti dallo stomaco, che risalgono lungo il tratto esofageo. E’ una condizione ad origine multifattoriale che colpisce un numero sempre più crescente di soggetti (4 milioni di Pazienti in Italia) ed è uno dei disturbi più comuni che i medici di base riscontrano nella loro pratica clinica quotidiana.

Caratterizzato dalla prolungata esposizione della mucosa esofagea ai succhi gastrici, il reflusso genera nel tempo infiammazione, erosione e nei casi più gravi ulcerazione con fibrosi della parte distale dell’esofago (esofago di Barrett). Quest’ultima forma è definita come una metaplasia cioè uno stadio pre-canceroso che se non curato adeguatamente potrebbe sviluppare la patologia più grave, il tumore o adenocarcinoma gastrico. 

I sintomi provocati dal reflusso gastro-esofageo sono svariati e spesso non sono facilmente riconoscibili, ma come esperienza principale vissuta dal Paziente vi è una sensazione di bruciore nella zona retrosternale che può irradiarsi in zona dorsale e salire sino alla mandibola. 

In aggiunta tra gli altri sintomi più o meno comuni riconducibili a questo stato infiammatorio possiamo evidenziare: difficoltà di deglutizione, mal di gola, dolore cervicale medio, perdita parziale o totale della voce, laringite, sinusite, asma, dolore sub-occipitale, difficoltà digestive o nausea, disturbi del sonno, senso di oppressione al torace, capogiri, tosse secca.

 

Essendo una problematica di origine multifattoriale le maggiori concause che portano a questa condizione sono: alimentazione poco salutare, obesità, stress psico-fisico, fumo di sigaretta, una pregressa condizione patologica di ernia iatale.

 

Tutto ciò porta ad una modifica funzionale anatomica della capacità contenitiva dello stomaco nei confronti dell’esofago che può cronicizzarsi e degenerare negli stadi descritti prima in quanto l’anatomia che compone l’area di giunzione tra gastro-esofagea va a cambiare la sua capacità elastica e contrattile.

La giunzione gastro-esofagea (cardias) è un complesso valvolare atto a prevenire la risalita dei succhi gastrici in esofago ed è composta principalmente da uno sfintere chiamato LES (Lower Esophageal Sphincter), collocato all’interno dello iato diaframmatico e circondato dalla componente fibrosa del diaframma stesso. Il reflusso gastrico è quindi impedito principalmente da tre componenti: un corretto angolo di inclinazione tra esofago e stomaco, la chiusura quasi totale del LES ad opera della muscolatura intrinseca, la pressione generata dalla giusta tensione del diaframma durante la respirazione (fase inspiratoria).

Il trattamento primario secondo la letteratura scientifica è identificato nell’approccio farmacologico attraverso la somministrazione di farmaci denominati inibitori di pompa protonica (tipo pantorc, pantopan, omeprazolo ecc..) ed in Italia questa classe di farmaci sono al secondo posto tra quelli più prescritti dai medici di base. In ogni caso questo approccio è esclusivamente sintomatico e richiede una continua somministrazione del farmaco innescando possibili effetti avversi per cui è necessario controllare il dosaggio e il tempo di esposizione. 

Le linee guida dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) prevedono infatti oltre alla terapia farmacologica iniziale l’adozione di una dieta equilibrata e il ricorso a terapie complementari come l’Osteopatia, la Psicoterapia e l’Agopuntura.

L’Osteopatia valuta le possibili cause del reflusso gastro- esofageo e dei disturbi del tratto di apparato digerente interessato dall’infiammazione, attraverso un approccio olistico al corpo e al suo funzionamento.

Nella valutazione osteopatica vengono analizzate le connessioni tra componente viscerale, struttura scheletrica e area neurologica deputata al controllo dell’organo, alla quale consegue l’intervento sulle cause prime del disturbo.

In particolare nei casi di reflusso l’osteopatia andrà ad indagare componenti disfunzionali relative al sistema neurovegetativo di competenza, area vertebrale dorsale e relazioni costali associate, diaframma toracico e relazioni delle pressioni tra i vari diaframmi corporei, area della base cranica e nervo vago, strutture viscerali (stomaco, esofago, duodeno,..), aree linfatiche e di connettivo connesse al GALT (sistema immunitario linfoide associato alla mucosa gastro-intestinale).

 

Trattare il reflusso gastro-esofageo con l’Osteopatia quindi significa fare in modo di ridurre le eventuali tensioni che si sono create a livello del cardias e dell’area circostanti, aiutando l’organismo a ritrovare l’equilibrio e la corretta motilità degli organi favorendo i meccanismi di autoguarigione ed autoregolazione.

Andrea Viale DO mROI

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Anamnesi: ma perché tutte queste domande se ho “solamente” un dolore cervicale?

Anamnesi: ma perché tutte queste domande se ho "solamente" un dolore cervicale?

Dal greco anámnēsis, che significa ricordo. 

In effetti il ricordare, attraverso un’adeguata serie di domande, rappresenta il modo migliore per ottenere informazioni importanti dal Paziente e, oltretutto, è un aspetto fondamentale di quella che può essere definita la relazione medico – paziente. 

Relazione in quanto l’Osteopatia è un percorso di cura per il miglioramento dello Stato di Salute generale e non semplicemente per la risoluzione del sintomo doloroso pur essendo esso stesso il motivo di consulto, quindi la comunicazione attraverso le domande anamnestiche rappresenta il primo passo fondamentale di questo cammino. 

In Osteopatia, l’anamnesi, che avviene durante la prima visita, è la raccolta dalla voce diretta del Paziente o dei suoi familiari (per esempio i genitori nel caso di un neonato o di un bambino), di tutte quelle informazioni e sensazioni che possono aiutare l’Osteopata a indirizzarsi verso una diagnosi. 

Insieme all’esame obiettivo e alla valutazione osteopatica manuale, è di fondamentale ausilio nella formulazione della diagnosi osteopatica poiché permette di ricostruire le modalità di insorgenza ed il decorso della sintomatologia in atto.

Solitamente si divide in più parti, un’anamnesi familiare e una personale, quest’ultima si divide a sua volta in fisiologica, patologica prossima e patologica remota.

L’anamnesi patologica prossima riguarda il disturbo per cui il paziente consulta l’Osteopata. 

Vengono indagate le modalità di insorgenza dei disturbi, il momento esatto della loro comparsa, la localizzazione, intensità, carattere e irradiazione del dolore; le funzioni fisiologiche di base come il ritmo sonno veglia, la diuresi, il transito, l’esito di eventuali esami eseguiti precedentemente e l’esito della terapia ove essa sia già stata effettuata. Vengono raccolte inoltre altre informazioni riguardo altri segni e sintomi. Tutto ciò non rappresenta una sterile raccolta dati ma risulta essere un processo razionale per dar inizio alle fasi di diagnosi differenziale, valutazione osteopatica, diagnosi osteopatica e trattamento.

L’anamnesi patologica remota consiste invece nell’indagine cronologica sulle malattie, i traumi ed interventi chirurgici dal Paziente nel passato. Ad esempio recidive di alcune malattie (o manifestazioni a distanza) o cronicizzazioni di altre patologie potrebbero essere responsabili della sintomatologia attuale del Paziente.

Il ricordo di tutto questo porta l’Osteopata a porre domande che interpretino i concetti medico clinici ma anche i principi filosofici dell’Osteopatia in un’ottica di funzionalità integrata e correlazione anatomica dei vari sistemi del corpo, andando a ipotizzare prima dell’esame obiettivo manuale alcuni scenari fisiopatologici che potrebbero aver fatto generare “solamente” quel dolore cervicale per il quale il Paziente si è presentato in studio.

Andrea Viale DO mROI – Osteopata