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I DISTURBI D’ANSIA: impariamo a conoscerli 

I DISTURBI D’ANSIA: impariamo a conoscerli

Ben ritrovato, ho deciso in questo articolo di parlarti di una categoria tra le più frequenti di disturbi psicologici, soprattutto durante la pandemia (ma anche prima non si scherzava) l’ansia è diventata una vera nemica per molti di noi. Io sono Veronica Griguoli, psicologa e psicoterapeuta in formazione e all’interno di Studio Progetto Vita mi occupo proprio di percorsi di supporto psicologico per i disturbi emotivi di ragazzi e adulti.

Cos’è l’ansia?

Partiamo da una definizione semplice ma essenziale: l’ansia è l’emozione provata di fronte a una sensazione di minaccia reale (es. minaccia alla persona) o figurata (es. minaccia all’autostima). È una risposta normale e innata di attivazione, che portiamo con noi insieme alla nostra evoluzione, caratterizzata da un aumento dello stato di allerta e dell’attenzione che ha l’obiettivo di prepararci ad affrontare il pericolo percepito predisponendoci così, a una risposta di attacco o fuga o freezing (congelamento).

L’ansia può essere fisiologica oppure patologica. L’ansia fisiologica ci prepara ad affrontare in maniera adattiva una possibile situazione difficile (pensa per esempio alla tua ultima interrogazione oppure alla prossima riunione di lavoro che dovrai affrontare, tutto l’impegno che ci stai mettendo per prepararti è sostenuto da questa componente) mentre l’ansia patologica è disfunzionale perché, essendo persistente e intensa, interferisce con la nostra prestazione (hai presente quando la tua mente diventa una tabula rasa in cui non riesci più a ricordare nulla?), e può essere associata a eventi neutri, che non sono realmente pericolosi.

Come tutte le emozioni l’ansia ha delle proprie manifestazioni sintomatologiche che possono essere anche raggruppate nel seguente modo:

  • sintomi psicologici dell’ansia: si caratterizzano per una forte apprensione che risulta essere esagerata rispetto alla portata dell’evento reale, nervosismo, alterazione della memoria e della concentrazione, rimuginio e preoccupazione, insicurezza e timore;
  • sintomi fisici dell’ansia: dovuti a una iperattivazione neurovegetativa, sono costituiti da palpitazioni, tachicardia, ipersudorazione, spasmi alla gola, dispnea, vertigini, bisogno frequente di urinare, sintomi gastroenterici, insonnia con difficoltà ad addormentarsi e risvegli frequenti;
  • tensione motoria: può provocare tremori, irrequietezza, agitazione, facilità a sussultare, contratture muscolari, cefalea tensiva.

È possibile distinguere diversi tipi di ansia:

  • ansia automatica: è una risposta innata a un pericolo interno o esterno;
  • ansia acquisita:
    • ansia anticipatoria: ha breve durata ed è scatenata da un segnale reale o immaginario, identificabile, associato con il pericolo;
    • ansia generalizzata: è una sensazione di tensione prolungata nel tempo e non associata a stimoli particolari;
    • attacchi di panico: sono attacchi d’ansia intensi che si risolvono rapidamente, durante i quali si prova un improvviso senso di grave pericolo (es. paura di morire, paura di impazzire, paura di perdere il controllo). Sono caratterizzati da un’attivazione somatica molto marcata, con sintomi fisici intensi quali palpitazioni, fame d’aria, vertigini fino ad arrivare a un senso di estraniamento dalla realtà.

Elenco dei principali disturbi d’ansia:

Nell’ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali (quinta edizione; DSM–5; American Psychiatric Association, 2013) vengono classificati come disturbi d’ansia i seguenti disturbi:

  • Disturbo d’ansia da separazione
  • Mutismo selettivo
  • Fobia Specifica
  • Disturbo d’ansia sociale
  • Disturbo di panico
  • Agorafobia
  • Disturbo d’ansia generalizzato
  • Disturbo d’ansia da condizione medica
  • Altro disturbo d’ansia specifico
  • Disturbo d’ansia non altrimenti specificato

È possibile diagnosticare un disturbo d’ansia solo quando si è accertato che i sintomi di ansia non sono attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza o farmaco o a un’altra condizione medica, oppure non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale.

Come capire se soffri di un disturbo d’ansia?

L’ansia è un’emozione che tutti quanti abbiamo provato nella nostra quotidianità, ma questo non implica necessariamente che in seguito si sia sviluppato un disturbo d’ansia. Normalmente quando proviamo ansia mettiamo in atto delle strategie per ridurre o eliminare la minaccia, ripristinando in questo modo la precedente situazione di normalità e sicurezza. Quindi che cosa fa sì che l’ansia fisiologica si trasformi in ansia patologica e successivamente si strutturi in un disturbo d’ansia? Nei disturbi d’ansia l’attivazione fisiologica che segue la percezione di una minaccia nell’ambiente viene valutata a sua volta in maniera catastrofica dal soggetto (a causa dei famosi errori di ragionamento, trovi nel blog un articolo che ho scritto su questo argomento), diventando essa stessa una minaccia, spesso ancora più grave della minaccia esterna che ha funzionato da fattore scatenante. Si crea così un circolo vizioso in cui l’interpretazione errata e catastrofica dei sintomi dell’ansia aumenta le sensazioni sgradevoli e queste a loro volta rinforzano l’interpretazione catastrofica. Il disturbo d’ansia viene così mantenuto da:

  • Attenzione Selettiva. Il soggetto pone estrema attenzione ai segnali del proprio corpo interpretandoli in maniera catastrofica;
  • Rimuginio. Il soggetto trascorre molto tempo a preoccuparsi cercando di prevedere o prevenire eventi negativi in condizioni di incertezza e di costruire mentalmente ipotetiche soluzioni senza mai giungere a una conclusione;
  • Evitamento. Il soggetto evita gli stimoli temuti per non incorrere nell’ansia, riducendo così i propri gradi di libertà.

Rimani aggiornato per non perderti il prossimo articolo in cui ti parlerò del trattamento che è risultato essere il più efficace secondo le linee guida scientifiche per la cura dei disturbi d’ansia.

A presto!

Dott.ssa Griguoli Veronica

Psicologa

Bibliografia e sitografia:

  • American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Washington, DC: Author.
  • Cassano, G.B. (2006). Psicopatologia e clinica psichiatrica. UTET, Torino.
  • Sassaroli, S., Lorenzini, R., Ruggiero, G.M. (a cura di) (2006). Psicoterapia cognitiva dell’ansia. Rimuginio, controllo, evitamento. Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • http://www.stateofmind.it/tag/ansia/#
“BLEAH, CHE SCHIFO!”: IL DISGUSTO

“BLEAH, CHE SCHIFO!”: IL DISGUSTO

Anche il disgusto rientra nelle emozioni fondamentali che ciascuno di noi può sperimentare. Ma quando si manifesta? Principalmente quando avvertiamo qualcosa di spiacevole che può intaccarci.

Siamo soliti intendere il disgusto dal punto di vista alimentare. Chi di voi non ha mai notato nelle espressioni dei vostri figli la classica faccia del “Bleah, che schifo!”, specialmente quando devono assaggiare le verdure! Che lotta far mangiare il minestrone a questi bambini! Ma anche quando si imbattono in sapori acidi o amari, come quei cattivi sciroppi che sono costretti a prendere per far passare l’influenza…fortunatamente adesso li fanno al gusto di fragola, arancia e così via.

Il disgusto si scatena anche da stimoli tattili, toccando qualcosa che può avere una consistenza viscida o appiccicosa, che richiama a qualcosa di molliccio. Oppure visivi, osservando qualche strano insetto ripugnante con colori o forme strane. Infine, può insorgere anche di fronte a stimoli olfattivi, come quando si annusano degli strani odori: pensiamo, ad esempio, quando qualcuno fa una puzzetta o fa la cacca!

Si può, quindi, comprendere come il disgusto possa nascere da qualsiasi stimolo che raggiunge i nostri canali sensoriali: il gusto, il tatto, la vista e l’olfatto.

Ma, come tutte le emozioni, anche questa ha una sua funzione protettiva e di sopravvivenza: costringendoci ad allontanarci dallo stimolo disgustoso, ad esempio sputando la sostanza appena ingerita, ci permette di salvaguardare la nostra salute fisica da eventuali inconvenienti e contaminazioni.

Spesso nei bambini, ma anche nei ragazzi più grandi, si nota sul loro viso l’espressione del disgusto di fronte ad alcune azioni o gesti compiuti da noi adulti. Classiche sono le scene dei film in cui si nascondono la faccia dietro le mani quando vedono i genitori baciarsi in bocca, esclamando “Che schifo!”. Talvolta, un gesto così amorevole, viene considerato dai nostri ragazzi come ripugnante. A noi, però, questa cosa fa molto sorridere!

Dott.ssa Zaghini Chiara

Dottoressa in Psicologia dello Sviluppo

Bibliografia:

  • Di Pietro Mario (2014). “L’ABC delle mie emozioni”. Trento, Erickson.
Facciamo un pò di chiarezza: emozioni ed empatia

Facciamo un pò di chiarezza: emozioni ed empatia

Le emozioni

Le emozioni pervadono la nostra vita quotidiana. Secondo la teoria evoluzionistica, le emozioni sono processi che consentono all’individuo di adattarsi all’ambiente, di interagire con le persone e riconoscere le situazioni di pericolo. 

Le emozioni hanno due funzioni fondamentali: 

  1. Relazionale (di comunicazione con gli altri individui) 
  2. Autoregolativa (di comprensione e gestione dei propri stati interni).
Classificazione delle emozioni

Le emozioni possono essere:

  1. Primarie: universali e innate, presenti in diverse culture (gioia, tristezza, rabbia, disgusto, paura, stupore). 
  2. Secondarie o complesse (vergogna, colpa, rimorso, invidia), che sono socialmente trasmesse regolamentate in base a modalità idonee di espressione.
Le emozioni sono una forma di intelligenza?

Le emozioni contribuiscono a una forma importante di intelligenza. La cosiddetta intelligenza emotiva, teorizzata da Daniel Goleman, consiste nella capacità di riconoscere e gestire i propri e altrui sentimenti e quindi contribuire al benessere di sé stessi e degli altri. Goleman ha suggerito che l’intelligenza emotiva sia composta da 5 competenze emotive: 

1) Consapevolezza: identificare le proprie emozioni, le loro cause scatenanti e le loro conseguenze

2) Autocontrollo: regolare e gestire le proprie emozioni

3) Motivazione: necessaria per raggiungere i propri obiettivi. 

4) Empatia: mettere nei panni altrui per comprenderne gli stati emotivi. 

5) Abilita’ Sociali: per una adeguata interazione con le persone.

La regolazione emotiva

La regolazione emotiva dipende dai processi di monitoraggio, valutazione e aggiustamento delle reazioni emotive; essa consente di avviare, interrompere o modulare gli stati interni e il comportamento legati al proprio stato emotivo.

Ciò che pensiamo delle emozioni influenza la nostra disponibilità ad accettare e mostrare all’esterno tali stati emotivi. Infatti, le nostre valutazioni negative rispetto al vivere e mostrare un’emozione a volte ci portano a non ascoltare fino in fondo i nostri vissuti interni. Per far questo, facciamo ricorso a svariate strategie di evitamento delle emozioni (distrazione, concentrazione su attività da svolgere, utilizzo del solo pensiero razionale..), che si rivelano il più delle volte controproducenti, in quanto ci fanno perdere parti importanti della nostra esperienza e a lungo andare ci fanno un po’ perdere anche il contatto con noi stessi. Non ultimo, l’abitudine a reprimere o negare le emozioni porta queste ultime a trovare comunque modalità e tempi per irrompere di tanto in tanto nel nostro vissuto, con risultati difficilmente prevedibili ma che comportano a volte reazioni impulsive e stati di confusione.

E l’empatia cosa ha a che fare con le emozioni?

L’ empatia è la capacità di metterci nei panni delle altre persone per comprenderne le emozioni e i vissuti interni, per cui risulta una competenza importante che ci consente di instaurare e mantenere nel tempo relazioni interpersonali stabili e autentiche. Essa è data dalla capacità di ascolto, dal guardare le cose ponendoci dal punto di vista dell’altro, per raggiungere la sintonia emozionale che ci consente di esperire le cose in modo il più simile possibile all’altro.

Le neuroscienze supportano l’esistenza di una sede fisica per l’empatia, che avrebbe luogo nei neuroni specchio, strutture specifiche che mostrano di attivarsi non solo quando eseguiamo una specifica azione ma anche quando quella stessa azione è da noi solo osservata, perché in realtà svolta da un altro individuo. Tale attivazione neurale in risposta all’osservazione delle azioni si verificherebbe anche per gli stati emotivi e ci porterebbe quindi a comprendere il vissuto emotivo altrui dall’osservazione delle sue espressioni e reazioni. 

L’empatia può suddividersi in diverse tipologie:
  1. Cognitiva: il comprendere il punto di vista altrui, anche se senza la componente di interesse per ciò che provano le altre persone e di attivarsi per aiutarle.
  2. Emotiva o Affettiva: capacità di esperire le sensazioni altrui
  3. Compassionevole: che include le componenti dell’empatia cognitiva e di quella affettiva, con l’aggiunta dell’intuizione legata al come fare per aiutare l’altra persona.
È possibile sviluppare l’empatia?

Sarebbe difficile capire gli altri senza farlo prima con sé stessi, per cui possiamo affermare che la conoscenza degli altri nasca innanzitutto dalla consapevolezza di sé. Dopo, ovviamente, segue il desiderio e l’impegno nell’immedesimarsi autenticamente negli altri, distinguendo e mettendo da parte i propri punti di vista e le proprie idee sulle cose, per ascoltare quelli altrui. 

E in ultimo i sentimenti…

I sentimenti (amore, amicizia, stima, simpatia, fiducia) sono emozioni particolari, in quanto connotate da una componente cognitiva che rappresenta la parte di interpretazione della componente emotiva. È per questo che i sentimenti sono più duraturi delle emozioni; la consapevolezza anche cognitiva dei propri stati interni, infatti, conferisce una connotazione più ampia e una maggiore stabilità ai vissuti, permettendo alle emozioni di diventare sentimenti.

Attenzione!

In base alla panoramica qui presentata, è chiaro che le emozioni e i sentimenti siano in psicoterapia un focus di lavoro molto importante. Nel percorso di trattamento il lavoro si concentra spesso infatti sulle credenze che la persona ha maturato in merito alle proprie emozioni, al fine di promuovere pensieri più adattivi, che aumentino la capacità del paziente di ascoltarsi in maniera autentica e di accettare i propri vissuti, step quest’ultimo necessario per poter pian piano imparare a gestirli nel rapporto con se stesso e con gli altri.

Diana Mabilia

DISTURBO DELLA COMPRENSIONE VERBALE: CAMPANELLI D’ALLARME

DISTURBO DELLA COMPRENSIONE VERBALE: CAMPANELLI D’ALLARME

“Perché mio figlio sembra non capire quando gli parlo? ”

“Il mio bimbo/a risponde in modo incongruo alle mie domande, a volte ripete ciò che gli chiedo”

“il mio bimbo/a rimane spaesato se gli chiedo di fare qualcosa”

“mio figlio non parla”

Queste frasi sono spesso indice di una problematica definita come disturbo della comprensione verbale.  

In che cosa consiste e come si manifesta questa difficoltà? 

La comprensione verbale è una competenza specifica del linguaggio, ci permette di capire il linguaggio parlato e scritto e di dare i giusti significati alle parole e frasi. 

“Quindi se non capisce, il bimbo non è intelligente?” NO!

Il disturbo di comprensione verbale non è necessariamente associato a un disturbo/ritardo cognitivo, ma nella maggior parte dei casi è limitato alla sfera del linguaggio. Va precisato, però, che da un’adeguata comprensione dipende un’adeguata produzione del linguaggio e che un bambino inizia a parlare quando già è in grado di comprendere molti significati.

Quali atteggiamenti osservare?

  • se gli parli o gli poni una domanda resta in silenzio interdetto guardandosi attorno spaesato;
  • risponde in maniera incongrua a ciò che gli è stato chiesto;
  • ripete ciò che gli viene detto
  • sembra non ci stia ascoltando;
  • presenta comportamenti aggressivi o di rabbia. 

Se noti uno o più di questi segnali nel tuo bimbo, è importante approfondire con il logopedista il livello di comprensione verbale e trovare insieme strategie per migliorare questa competenza. 

Dott.ssa Laurino Gabriella

Logopedista