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E ORA RILASSIAMOCI…INTRODUCIAMO IL RESPIRO PROFONDO

E ORA RILASSIAMOCI…INTRODUCIAMO IL RESPIRO PROFONDO

Rimaniamo concentrati sulle nostre emozioni… Quando non sappiamo come gestirle adeguatamente, specialmente quando tratteniamo dentro di noi troppa rabbia, senso di colpa, tristezza e tutte le altre sensazioni spiacevoli, rischiamo che il nostro corpo scoppi all’improvviso! 

Con i bambini spesso cerchiamo delle metafore che ci aiutano a farli entrare in contatto con il funzionamento del loro corpo… Recentemente abbiamo sfruttato la molla, la quale una volta tirata troppo in tensione rischia di scapparci via di mano! Ecco, anche il nostro corpo potrebbe “saltare” via proprio come una molla ed una delle reazioni più tipiche in età evolutiva è il tic. Ma che cos’è? Si tratta di una manifestazione psicosomatica, un segnale di allarme, che il corpo sta inviando all’esterno per chiedere aiuto… E se lo notiamo nei nostri figli cosa possiamo fare per aiutarli?

Sicuramente possiamo guidarli al rilassamento che permette di scaricare parte delle tensioni ed essere poi più predisposti al dialogo e alla ricerca di una soluzione alternativa e maggiormente funzionale al problema. Usare degli esercizi di respirazione può aumentare la capacità di autocontrollo nei nostri bimbi.

Scopriamo insieme come funziona il respiro profondo:

“Mettetevi in una posizione comoda. Mettete una mano sul vostro stomaco e un’altra sul vostro torace. Inspirate lentamente e guardate quale delle vostre due mani si muove. I respiri poco profondi fanno muovere la mano sul torace, i respiri profondi fanno muovere la mano sullo stomaco. Adesso, lentamente, ispirate dal vostro naso. Mentre voi inspirate, contate lentamente fino a 3 e sentite il vostro stomaco che si espande sotto la vostra mano. Trattenente il respiro per 1 secondo e quindi lentamente espirate mentre di nuovo contate fino a 3. Mentre voi inspirate, pensate alla parola “inspira”. Quando espirate, pensate alla parola “rilassati”.

Inspira 1…2…3

Trattieni 1…

Rilassati 1…2…3

Continuate l’esercizio di respiro profondo per alcuni minuti, cercando di sentirvi sempre più rilassati ogni volta che espirate.” 

La respirazione, per essere profonda, deve coinvolgere il diaframma… Ma come fare? Respirando con la pancia, gonfiandola e sgonfiandola quasi fosse un palloncino, per ritornare alle nostre amate metafore. Con alcuni bambini, in sede di terapia, si utilizzano anche dei materassini per farli stendere a terra ed essere comodi per poi, con l’aiuto di una barchetta di carta, farla “navigare” nel mare (la pancia) per far capire loro il movimento ondulatorio che devono assumere. 

Ora possedete anche voi tutte le istruzioni per provarci a casa!

Dott.ssa Chiara Zaghini 

Psicologa dell’Età Evolutiva

BIBLIOGRAFIA: 

Di Pietro Mario (2014). “L’ABC delle mie emozioni”. Trento, Erickson.

Lochman et al. (2022). “Coping Power – Programma per il controllo di rabbia e aggressività in bambini e adolescenti”. Trento, Erickson.

Regole: come renderle efficaci per favorire lo sviluppo dei bambini

Regole: come renderle efficaci per favorire lo sviluppo dei bambini

Spesso in consulenza i genitori riportano la fatica nel guidare i propri figli in quella che è l’accettazione delle regole e dei no, portandoli spesso ad attuare una funzione genitoriale in alcuni casi eccessivamente normativa e rigida, in altri casi eccessivamente accomodante. Quindi eccomi oggi con qualche strategia per aiutarvi a porre dei confini positivi per una crescita armoniosa dei vostri bambini.

Crepet afferma che: “Le regole e i ‘no’ sono come dei paracarri ai lati di una strada; sono punti di riferimento, non debbono cambiare di posizione, non possono decidere di esserci o non esserci.”

Dunque, le regole sono fondamentali, ma per essere efficaci deve esser e chiarito ai nostri bambini il significato di esse. “Perché devo stare attento quando attraverso la strada?”, “Perché dobbiamo mangiare tutti insieme?”; Quando il bambino chiede il perché della regola, sta cercando il senso delle norme ed in questo, voi adulti di riferimento, avete l’occasione di trasmettere loro il valore della vita, del rispetto, dell’amore per la famiglia e per gli altri.

Il genitore nel suo ruolo educativo deve quindi mantenere la giusta distanza in un equilibrio tra il dover rispondere al bisogno di sicurezza, comprensione e accudimento del bambino, e l’altrettanto bisogno di limiti e confini ben definiti. È questo che permette ai bambini di imparare a “regolare” i propri stati emotivi.

Ecco quindi alcuni semplici e pratici consigli per iniziare ad approcciarci ad una comunicazione efficace della regola:

  • Guarda il tuo bambino negli occhi, abassandoti alla sua altezza
  • Parla al tuo bambino con voce ferma e autorevole; se sta facendo altro è normale che non vi ascolti perciò assicuratevi che vi sti ascoltando.
  • Le regole devono essere chiare, ferme, sintetiche. Vanno quindi evitate le frasi troppo generiche perché risulterebbero poco comprensibili per il bambino. 

Pensiamo ad esempio a quante volte gli diciamo: “Devi fare il bravo”; per aiutarlo a comprendere il senso dobbiamo spiegargli cosa significa, cosa vogliamo che faccia e cosa ci aspettiamo da lui. 

  • Le regole devono essere concrete per cui un bambino farà fatica a comprendere la frase “Devi riordinare” mentre sarà per lui molto più chiara la regola “Metti i tuoi giochi dentro alla scatola”.
  • Prediligi una comunicazione al positivo, evitando il “non”. Sostituisci ad esempio il “non urlare” ad un “parla piano”.

So che con i bambini non è sempre semplice, soprattutto se consideriamo che i genitori non sono “solo” genitori e che nella vita di tutti i giorni la frustrazione può essere tanta, però ci tengo a farti riflettere sull’importanza di iniziare ad approcciarsi ai nostri bambini si con fermezza, a patto che questa sia un’amorevole fermezza.

Dott.ssa Benedetta Levorato

Psicologa

IL DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITA’

IL DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITA’

Il disturbo da deficit dell’attenzione ed iperattività (definito anche DDAI in italiano o anche ADHD in inglese, da Attention Deficit Hyperactivity Disorder) è uno dei più comuni disturbi neurocomportamentali.

Si manifesta, nella prima infanzia, principalmente con due classi di sintomi: un evidente livello di disattenzione ed una serie di comportamenti che denotano iperattività ed impulsività. Questo disturbo è considerato ora una condizione eterogenea potenzialmente cronica, che presenta sintomi rilevanti e problematiche associate che vanno a colpire diversi aspetti funzionali della vita di tutti i giorni.

Quali sono le cause dell’ADHD?

Le cause dell’ADHD possono essere di natura:   

  • Genetica
  • Neurobiologica
  • Ambientale

Studi di genetica che hanno coinvolti i bambini hanno mostrato l’esistenza di un’associazione tra l’ADHD e alcuni geni. Ad esempio, un’alterazione nel gene responsabile della produzione di un neurotrasmettitore (dopamina) potrebbe essere una delle cause di questo disturbo: la dopamina è quella sostanza che veicola le informazioni fra i neuroni e, quindi, è alla base di molti processi cognitivi, come ad esempio attenzione e memoria.

Nonostante non vi siano ancora evidenze scientifiche consistenti, la maggior parte dei farmaci utilizzati per curare l’ADHD, infatti, aumenta l’efficacia dell’attività della dopamina nella comunicazione tra neuroni, aiutando così la persona a prestare maggiore attenzione.

Ulteriori studi hanno dimostrato anche la familiarità del disturbo: un bambino affetto da ADHD ha 4 volte più probabilità di avere un parente con la stessa malattia; così come un terzo dei padri che soffrono di ADHD ha un figlio con lo stesso disturbo.

Esistono poi alcuni fattori ambientali che sono associati all’ADHD, in particolare fattori di rischio prenatali, come:

  • esposizione prolungata a fumo di sigaretta;
  • assunzione di alcool o droga in gravidanza;
  • ipertensione;
  • stress;
  • complicanze durante il parto;
  • basso peso neonatale o la nascita prematura;
  • basso peso alla nascita.

Tali fattori non causano in maniera diretta questo disturbo ma possono favorire la comparsa di alterazioni nei geni, che portano poi all’insorgenza dell’ADHD.

Le cause di natura neurobiologica che possono causare la comparsa dell’ADHD sono difetti nella struttura e nel funzionamento della parte frontale del cervello, responsabile di processi cognitivi primari come la pianificazione e l’organizzazione dei comportamenti, l’attenzione e il controllo inibitorio. I deficit strutturali possono poi interessare anche la regione cerebrale che regola le emozioni (limbo) e una parte del sistema nervoso che regola la comunicazione all’interno del cervello (gangli). Tutte queste regioni cerebrali sono interconnesse tra di loro e, quindi, un deficit anche in una sola di esse potrebbe originare il disturbo.

Sintomi del “ADHD” disturbo da deficit di attenzione ed Iperattività

I sintomi relativi alla disattenzione si riscontrano soprattutto in bambini che, rispetto ai propri coetanei, presentano un’evidente difficoltà a rimanere attenti o a lavorare su uno stesso compito per un periodo di tempo sufficientemente prolungato.

Solitamente questi soggetti non riescono a seguire le istruzioni fornite, sono disorganizzati e sbadati nello svolgimento delle loro attività, hanno difficoltà nel mantenere la concentrazione, si fanno distrarre molto facilmente dai compagni o da rumori occasionali e raramente riescono a completare un compito in modo ordinato.

Quando sono in classe sembrano disorientati e, spesso, passano da un’attività all’altra senza averne completata alcuna, si guardano continuamente attorno, soprattutto durante lo svolgimento di compiti, ma anche durante la proiezione della trasmissione tv preferita. Ciò accade soprattutto nei momenti in cui tali attività risultano noiose e ripetitive.

bambini con iperattività – impulsività giocano in modo rumoroso, parlano eccessivamente con scarso controllo dell’intensità della voce, interrompono persone che conversano o che stanno svolgendo delle attività, senza essere in grado di aspettare il momento opportuno per intervenire; i genitori e gli insegnanti li descrivono sempre in movimento e sul punto di partire, incapaci di attendere una scadenza o il proprio turno.

Inoltre, sembrano non sufficientemente orientati al compito e faticano a pianificare l’esecuzione delle attività che vengono loro assegnate.

Le manifestazioni di iperattività e impulsività sembrano essere attribuibili ad una difficoltà di inibizione dei comportamenti inappropriati. I bambini con disturbo dell’attenzione esprimono questa difficoltà con agitazione, difficoltà a rimanere fermi, seduti o composti quando viene loro richiesto.

I soggetti affetti da DDAI presentano delle difficoltà nei seguenti campi relativi all’attenzione e alle funzioni neuropsicologiche: risoluzione dei problemi, abilità di pianificazione, grado di allerta e di attenzione, flessibilità cognitiva, attenzione mantenuta, inibizione delle risposte automatiche, memoria di lavoro non verbale.

Come si manifesta in bambini e adolescenti?

La disattenzione e l’impulsività sono caratteristiche riscontrabili in un ampio range di disturbi psicopatologici in età evolutiva, come ad esempio nei disturbi d’ansia, nella depressione e nei disturbi del comportamento.  È normale per i bambini essere pieni di energia, impulsivi (agire senza considerare la conseguenza delle loro azioni) e disattenti. Le stesse difficoltà si possono riscontrare negli adulti, che sopraffatti dal lavoro, dagli impegni e dai problemi di vita quotidiana non riescono a mantenere attiva la consapevolezza di ciò che stanno facendo e di come lo stanno svolgendo. Tuttavia, per alcuni bambini e adolescenti, il livello di attività, le difficoltà nel controllare l’impulsività e l’attenzione sono talmente pervasivi da impedirgli di stare al passo con le richieste della società.

Bambini con ADHD manifestano una tale impulsività e attività da non riuscire a stare fermi, sono continuamente agitati, parlano quando dovrebbero ascoltare, interrompono i discorsi, non riescono a portare a termine un compito, sembrano non ascoltare quando gli si parla e perdono continuamente oggetti a causa della loro disattenzione.  Talvolta rischiano di farsi male a causa della loro impulsività, sono incapaci di stare seduti a lungo in classe e la loro disattenzione può essere causa di difficoltà di apprendimento. Sono labili dal punto di vista emotivo, difficilmente riescono ad autoregolare le loro emozioni. Una volta diventati adulti continuano ad avere problemi. Fanno fatica a mantenere un lavoro, compiono spesso incidenti stradali, durante le conversazioni stimolano irritazione negli altri a causa della loro difficoltà nell’aspettare il loro turno e la tendenza a parlare in momenti non appropriati. Con molta probabilità le vite di questi bambini, adolescenti e adulti saranno compromesse su più fronti, in ambito sociale, scolastico, cognitivo e familiare.

Come si manifesta a casa?

I bambini con ADHD presentano un gran numero di comportamenti che possono interferire con la vita familiare:

  • Spesso non ascoltano le istruzioni dei genitori e non gli obbediscono.
  • Sono disorganizzati.
  • Spesso dicono cose inopportune.
  • Spesso interrompono le conversazioni.
  • È difficile portarli a letto la sera.
  • Possono mettersi in pericolo a causa della loro distrazione o impulsività.
  • Hanno difficoltà a rimanere seduti a tavola durante i pasti.
  • Spesso bisogna richiamarli e assisterli per assicurarsi che portino a termine un compito.
  • Rifiutano di svolgere i compiti a casa o impiegano un tempo eccessivo per terminarli.
  • Possono manifestare una frustrazione intensa quando le loro richieste non vengono esaudite.

Il disturbo ha un forte impatto sui genitori, che sono costretti giorno dopo giorno ad affrontare le esigenze del loro bambino con ADHD e a monitorare i suoi comportamenti, questo può essere estenuante sia dal punto di vista fisico che psicologico. La frustrazione che molti genitori provano può portare a rabbia e senso di colpa verso se stessi, e irritazione verso il bambino.

Non solo i genitori, ma anche i fratelli dei bambini con ADHD devono affrontare una serie di sfide:

  • I loro bisogni spesso ricevono meno attenzione rispetto a quelli del bambino con ADHD.
  • Possono essere rimproverati in maniera più decisa quando sbagliano, ricevendo meno attenzione per i loro successi, perché dati per scontati.
  • Possono essere responsabilizzati nei confronti del fratello e accusati di non aver fatto il proprio dovere se questo si comporta male sotto la loro supervisione.

Al fine di affrontare le sfide quotidiane che un bambino con ADHD pone è necessario essere in grado di padroneggiare una combinazione di compassione e di coerenza. Vivere in una casa che fornisce al contempo amore, struttura e prevedibilità è la cosa migliore per un bambino o un adolescente che sta imparando a gestire il suo ADHD.

Come si manifesta a scuola?

L’ambiente scolastico può essere un luogo difficile per un bambino con ADHD, basta pensare alle richieste che pone: stare fermi, ascoltare in silenzio, seguire le istruzioni, rimanere concentrati e attenti. Tutte cose che riescono difficili ai bambini con questo disturbo.

Gli studenti con ADHD presentano le seguenti sfide per gli insegnanti:

 

  • hanno difficoltà a mantenere l’attenzione nei compiti richiesti;
  • non eseguono le istruzioni e non portano a termine gli incarichi;
  • difficoltà a organizzarsi nei compiti;
  • facilmente distraibili da stimoli estranei;
  • faticano a stare seduti;
  • si alzano spesso dal banco e vanno in giro per la stanza.
  • spesso dimenticano di annotare i compiti per casa, di farli o di portare quanto svolto a scuola;
  • spesso hanno difficoltà con le operazioni che richiedono passi ordinati, come ad esempio una divisione lunga;
  • rispondono alle domande senza porre sufficiente attenzione alla risposta;
  • hanno difficoltà a rispettare il turno;
  • interrompono gli altri durante le fasi di gioco e/o lavoro;
  • bassa autostima;
  • prese in giro da parte di altri compagni;
  • basse prestazioni scolastiche.

 

Nei prossimi articoli si parlerà di valutazione e del trattamento dell’ADHD e delle strategie di intervento efficaci per il bambino, genitori e scuola.

A cura della Dott.ssa Mara Gazzi

Bibliografia

  • DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali M. Biondi (Curatore) Cortina Raffaello, 2014.
  • I disturbi del comportamento in età evolutiva. Fattori di rischio, strumenti di assesment e strategie psicoterapeutiche di Pietro Muratori (Autore), Furio Lambruschi (Autore), Cristian Stenico (Illustratore), Annarita Milone (Prefazione).
  • L’intervento cognitivo-comportamentale per l’età evolutiva Strumenti di valutazione e tecniche per il trattamento Mario Di Pietro, Elena Bassi.
Corse, salti e tuffi… Gioco sensomotorio: cos’è e perchè è importante 

Gioco sensomotorio: cos’è e perchè è importante

Corse, salti, tuffi dal divano, prove di equilibrio… quante volte abbiamo visto i bambini cimentarsi e sperimentarsi attraverso schemi di movimento complessi e a volte anche pericolosi. 

Ma perché i bambini ricercano questo tipo di esperienze?

I bambini imparano attraverso il gioco e il movimento, ma soprattutto dal piacere che questi danno gli danno. Esiste una tappa fondamentale nello sviluppo del bambino in cui emerge il gioco sensomotorio

Lo psicologo Jean Piaget usa il termine sensomotorio in riferimento ad uno specifico stadio dello sviluppo dell’intelligenza: l’intelligenza sensomotoria, in cui il bambino tende a ripetere i movimenti che gli offrono sensazioni di soddisfazione e piacere.

Il pedagogista Bernard Aucouturier utilizza il termine senso-motorio riferendosi al movimento, al gioco ed in particolare al piacere che il bambino prova nel muoversi, che può nascere sia per caso ma anche se accuratamente ricercato dal bambino durante alcune attività incentrate sull’esplorazione del proprio corpo.  

Il gioco senso-motorio coinvolge quindi il sistema sensoriale e il sistema muscolo-scheletrico, che dialogano tra loro per creare nuovi circuiti neurali che fungono da esperienza per il bambino che si mette alla prova e ricerca determinate esperienze più o meno dinamiche che gli hanno provocato sensazioni piacevoli, letteralmente si parla di piacere del movimento. Il gioco senso-motorio proprio perché ha lo scopo di mettersi alla prova e superare i propri limiti, è caratterizzato da discontinuità e da rotture che vanno a stimolare il corpo livello sensoriale, soprattutto per quanto riguarda la percezione propriocettiva e vestibolare.

Questa tappa di gioco consente al bambino di esprimere campo anche le sue emozioni: ogni sfida è carica di emozioni che fanno parte del bagaglio del bambino e che possono essere vissute, agite e rielaborate attraverso questo tipo di attività ludica. 

La corsa, il salto e tutte le esperienze motorie dinamiche consentono al bambino di percepire ogni segmento corporeo ma anche tutto il corpo intero, e di mantenere un collegamento costante tra la dimensione corporea e quella emotiva, che si stimolano a vicenda e permettono lo sviluppo di una rappresentazione di Sé unitaria e globale. 

Alcuni degli schemi di movimento maggiormente ricercati dai bambini sono: 

  • Cadere: consente al bambino di imparare a dominare la verticalità e l’orizzontalità alternandole, inoltre il bambino sviluppa fiducia nel suo corpo che si ritrova “intero”.
  • Saltare: viene cercare il piacere di perdere e ritrovare il contatto col suolo, ma anche di perdere e ritrovare con le proprie forze un punto di appoggio sicuro, sviluppando la fiducia in sé stessi e l’autostima.
  • Arrampicarsi: è un passaggio di sviluppo importante per il bambino sia dal punto di vista motorio, per gli schemi di movimento richiesti, sia perché il bambino in questo modo sfida sè stesso e cerca di comprendere e conquistare il mondo da un’altra posizione.
  • Tuffarsi: in questo caso il bambino sperimenta la gravità e la mette alla prova, cerca di “volare”; l’atterraggio porta alla consapevolezza dei propri limiti. Questa esperienza è importante per lo sviluppo cognitivo. 

Il piacere senso-motorio è l’evidente espressione dell’unità della personalità del bambino, perché crea la connessione tra le sensazioni corporee e gli stati tonico-emozionali […] esso deve essere riconosciuto come punto nodale, via principale di cambiamento nel bambino”. 

Dott.ssa Ilaria Dissette

Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva

BIBLIOGRAFIA

  • Aucouturier B., Darrault I., Empinet J. L., La pratica psicomotoria. Rieducazione e terapia. Armando, 1986
  • Aucouturier B., Il metodo Aucouturier. Fantasmi d’azione e pratica psicomotoria, Franco Angeli, 2011
  • Aucouturier B.-A. LaPierre, La simbologia del movimento. Psicomotricità ed educazione, ed. Edipsicologiche, 1978.
  • Vecchiato M., Il gioco psicomotorio. Psicomotricità psicodinamica, Armando, 2007
  • Camaioni L., Di Blasio P., Psicologia dello sviluppo, Il Mulino Manuali, 2008
Scrivere proprio non mi piace. Simona e la disortografia.

Scrivere proprio non mi piace. Simona e la disortografia.

Ciao, sono Simona (nome di fantasia), ho 9 anni e scrivere proprio non mi piace.

A scuola vogliono che scriva in corsivo ma se scrivo in corsivo faccio tanti “orrori” – come li chiama la maestra – di ortografia.

Come posso fare? Molte volte non voglio ASSOLUTAMENTE scrivere.

Bentornati! Eccoci qua con un nuovo argomento. Oggi parliamo di DISORTOGRAFIA.

La disortografia è un disturbo specifico dell’apprendimento, più specificatamente della componente ortografica della scrittura. Tale fragilità emerge in particolar modo attraverso 3 errori specifici:

  1. Errori Fonologici, nei quali ciò che il bambino scrive non corrisponde a ciò che è stato detto;
  2. Errori Non Fonologici, ad esempio separazioni o fusioni illegali;
  3. Errori Fonetici, cioè accenti e doppie.

Inoltre, come la dislessia, esistono 2 parametri da osservare in sede di valutazione: la velocità di scrittura e la correttezza ortografica.

Le caratteristiche (https://www.aiditalia.org/come-si-riconoscono-i-dsa) di questo disturbo sono:

  • scarsa autonomia nella scrittura delle parole;
  • sostituzioni o elisioni di lettere;
  • difficoltà nell’atto della scrittura.

Campanelli d’allarme e diagnosi

La diagnosi di disortografia è possibile quando il bambino è in classe terza della scuola primaria (solo in casi eccezionali anche durante la fine della classe secondo) ma questo non vuol dire non riuscire ad osservare possibili campanelli d’allarme emergenti durante la classe seconda. Tra questi campanelli d’allarme troviamo:

  • commette molti errori ortografici;
  • ha difficoltà nello scrivere in corsivo;
  • fatica nel copiare alla lavagna;
  • scambia lettere graficamente o foneticamente simili, ad esempio f-v, p-b, m-n;
  • gestisce non adeguatamente lo spazio del foglio.

Riuscire ad individuare queste prime difficoltà e quindi fare un intervento precoce possiamo permettere al bambino una maggiore serenità durante le ore scolastiche e durante lo svolgimento dei compiti.

Cosa possiamo fare dopo una diagnosi di Disortografia?

Il ruolo della scuola e della famiglia

Successivamente alla diagnosi di disortografia le figure che più devono mettersi in gioco oltre al bambino sono la famiglia e la scuola. Ma in che modo?

L’insegnante è opportuno che metta in atto alcune strategie per favorire l’apprendimento del bambino. Nello specifico può:

  • dispensare il bambino dalla scrittura quando non è questo il primo obiettivo richiesto;
  • far copiare il bambino da un foglio dispensandolo dalla copiatura alla lavagna;
  • lasciare un tempo maggiore per permettere al bambino di completare il lavoro che deve svolgere;

In casi più complessi, e dove il bambino è seguito e guidato, può essere inserito l’utilizzo del computer (dettatura, rilevamento automatico dell’errore)

La famiglia può:

  • familiarizzare con il bambino nell’uso degli strumenti compensativi in accordo con la scuola e se, presente, con il clinico di riferimento;
  • comunicare, ascoltare e accogliere le esigenze e i bisogni del bambino.

Non abbiate timore di chiedere aiuto nel momento in cui notate fragilità di questo tipo nei vostri bambini. Una diagnosi di disortografia permette un maggior benessere nella vita del bambino.

Dott.ssa Giorgia Ghiraldini

Educatrice socio-pedagogica

Bibliografia:

L’EMOZIONE DELLA SORPRESA È BELLA O BRUTTA?

L’EMOZIONE DELLA SORPRESA È BELLA O BRUTTA?

Quando abbiamo parlato delle emozioni fondamentali, abbiamo visto come se ne sia aggiunta una sesta, la sorpresa. Anche questa, quindi, fa parte del repertorio emotivo di ciascuno di noi, ma scopriamo insieme di che cosa si tratta.

Tendenzialmente, si sperimenta sorpresa di fronte a situazioni nuove ed inaspettate. Però c’è da fare un’importante distinzione tra una sorpresa intesa in senso piacevole e una, invece, spiacevole.

Ad esempio, quando i nostri bimbi ricevono un bel regalo o qualcuno organizza loro una festa, l’espressione che si stampa sul loro viso è di sorpresa e stupore. A questa si può, quindi associare, la gioia nello scartare il regalo e scoprire che si tratta proprio di quello tanto desiderato. La sorpresa, quindi, si può intersecare e sovrapporre ad altre emozioni che abbiamo conosciuto nelle “puntate” precedenti.

Ma la mimica tipica della sorpresa la possiamo intravedere anche in un contesto non così piacevole come quando, ad esempio, succede qualcosa che non ci si aspettava e che scombussola i piani. Insieme alla sorpresa, quindi, si può sperimentare anche paura e preoccupazione di fronte all’ignoto; i bambini o i ragazzi possono avvertire la perdita di un punto di riferimento e il dubbio rispetto a cosa fare o non fare. 

Fondamentale guardare queste ultime situazioni da una prospettiva diversa: cambiamo le lenti dei nostri occhiali attraverso cui guardiamo il mondo! Trasmettiamo ai nostri ragazzi l’idea che, anche imbattendoci in qualcosa di inaspettato, questo possa poi rivelarsi un’ottima occasione di apprendimento, in cui sperimentare nuove competenze e in cui raggiungere nuovi obiettivi attraverso questa nuova sfida. La novità deve essere sempre accolta come qualcosa di positivo, come fonte di crescita!

Dott.ssa Zaghini Chiara

Dottoressa in Psicologia dello Sviluppo

Bibliografia:

  • Di Pietro Mario (2014). “L’ABC delle mie emozioni”. Trento, Erickson.
Odio leggere: La storia di Marco e la sua dislessia

Odio leggere: La storia di Marco e la sua dislessia

Ciao, sono Marco (nome di fantasia) e odio leggere.

O meglio.. mi piacerebbe tanto leggere ma faccio tanta tanta fatica.  

Mi piacciono tantissimo i libri di Geronimo Stilton ma per leggere poche pagine ci metto tanto tempo e quindi poi mi stanco e lascio perdere.

Un giorno però ho scoperto il perché di questa mia fatica, la DISLESSIA ed ora va sempre meglio e riesco a finire pian piano i capitoli, uno dopo l’altro.

Ebbene sì, oggi affrontiamo un argomento anticipato da questo articolo (http://studioprogettovita.it/?p=2460) della Dott.ssa Gazzi, ma proviamo andare un po’ più nello specifico entrando nel mondo della dislessia.

La dislessia è un disturbo specifico dell’apprendimento, più specificatamente della lettura. La lettura, con una diagnosi di dislessia risulta essere lenta oppure non corretta; usando termini più adeguati si fa riferimento alla rapidità e all’accuratezza della lettura rispetto all’età del bambino e alla classe frequentata.

Le caratteristiche (https://www.aiditalia.org/come-si-riconoscono-i-dsa) di questo disturbo sono:

  • lenta decifrazione delle singole lettere;
  • incertezza nell’utilizzo delle sillabe;
  • scarso controllo del significato delle parole.

Campanelli d’allarme e diagnosi

La diagnosi di dislessia è possibile effettuarla solo dopo la fine della seconda classe della scuola primaria ma questo non vuol dire non riuscire ad osservare possibili campanelli d’allarme emergenti durante la classe prima e seconda e alla scuola dell’infanzia. Tra questi campanelli d’allarme troviamo:

  • confusione nella lettura o nella formulazione orale dei suoni;
  • inadeguata padronanza fonologica;
  • difficoltà nel riconoscimento del fonema iniziale o finale di una parola;
  • lettura lenta o lettura sillabica;
  • scambio di fonemi o grafemi;

Un intervento precoce grazie all’individuazione di questi piccoli segnali permette un miglior processo di apprendimento e un maggior benessere nel bambino durante tutte le attività quotidiane e scolastiche.

Cosa possiamo fare dopo una diagnosi di Dislessia?

Il ruolo della scuola e della famiglia

Successivamente alla diagnosi di dislessia le figure che più devono mettersi in gioco oltre al bambino sono la famiglia e la scuola.

L’insegnante è opportuno che metta in atto alcune strategie per favorire l’apprendimento del bambino. Nello specifico può:

  • dispensare il bambino dalla lettura ad alta voce nel momento in cui questo risulti essere per il bambino stesso situazione di frustrazione e disagio;
  • ridurre il materiale di lettura;
  • potenziare l’apprendimento visivo, se adeguato al bambino;
  • concedere più tempo durante le verifiche;
  • potenziare l’utilizzo di strumenti compensativi, quali sintesi vocale o strumenti che consentano al bambino un maggior avvicinamento alla lettura senza affaticamento eccessivo.

La famiglia può:

  • familiarizzare con il bambino nell’uso degli strumenti compensativi in accordo con la scuola e se, presente, con il clinico di riferimento;
  • proporre attività giocose che permettano l’accesso ad un lessico quali ad esempio, scarabeo;
  • dispendiare il bambino in attività di lettura lunghe, leggendo al suo posto lasciando però il testo sotto al suo sguardo.

 

Non abbiate timore di chiedere aiuto nel momento in cui notate fragilità di questo tipo nei vostri bambini. Una diagnosi di dislessia permette un maggior benessere nella vita del bambino e permette lui di affrontare la propria vita grazie all’utilizzo di strategie e strumenti funzionali alle proprie caratteristiche.

Dott.ssa Giorgia Ghiraldini

Educatrice socio-pedagogica

Bibliografia e sitografia:

  • https://www.aiditalia.org
  • Dislessia e altri DSA a scuola. Strategie efficaci per gli insegnanti., Erickson, 2013
“BLEAH, CHE SCHIFO!”: IL DISGUSTO

“BLEAH, CHE SCHIFO!”: IL DISGUSTO

Anche il disgusto rientra nelle emozioni fondamentali che ciascuno di noi può sperimentare. Ma quando si manifesta? Principalmente quando avvertiamo qualcosa di spiacevole che può intaccarci.

Siamo soliti intendere il disgusto dal punto di vista alimentare. Chi di voi non ha mai notato nelle espressioni dei vostri figli la classica faccia del “Bleah, che schifo!”, specialmente quando devono assaggiare le verdure! Che lotta far mangiare il minestrone a questi bambini! Ma anche quando si imbattono in sapori acidi o amari, come quei cattivi sciroppi che sono costretti a prendere per far passare l’influenza…fortunatamente adesso li fanno al gusto di fragola, arancia e così via.

Il disgusto si scatena anche da stimoli tattili, toccando qualcosa che può avere una consistenza viscida o appiccicosa, che richiama a qualcosa di molliccio. Oppure visivi, osservando qualche strano insetto ripugnante con colori o forme strane. Infine, può insorgere anche di fronte a stimoli olfattivi, come quando si annusano degli strani odori: pensiamo, ad esempio, quando qualcuno fa una puzzetta o fa la cacca!

Si può, quindi, comprendere come il disgusto possa nascere da qualsiasi stimolo che raggiunge i nostri canali sensoriali: il gusto, il tatto, la vista e l’olfatto.

Ma, come tutte le emozioni, anche questa ha una sua funzione protettiva e di sopravvivenza: costringendoci ad allontanarci dallo stimolo disgustoso, ad esempio sputando la sostanza appena ingerita, ci permette di salvaguardare la nostra salute fisica da eventuali inconvenienti e contaminazioni.

Spesso nei bambini, ma anche nei ragazzi più grandi, si nota sul loro viso l’espressione del disgusto di fronte ad alcune azioni o gesti compiuti da noi adulti. Classiche sono le scene dei film in cui si nascondono la faccia dietro le mani quando vedono i genitori baciarsi in bocca, esclamando “Che schifo!”. Talvolta, un gesto così amorevole, viene considerato dai nostri ragazzi come ripugnante. A noi, però, questa cosa fa molto sorridere!

Dott.ssa Zaghini Chiara

Dottoressa in Psicologia dello Sviluppo

Bibliografia:

  • Di Pietro Mario (2014). “L’ABC delle mie emozioni”. Trento, Erickson.
Lettura condivisa: perché è importante?

Lettura condivisa degli albi illustrati: perché è importante?

Benvenuti in questo nuovo articolo!

Come avrete capito amo il mondo della lettura per l’infanzia e ogni giorno, sempre più, cerco di formarmi per essere pronta a qualsiasi richiesta mi facciano sull’argomento.

Oggi vediamo insieme un altro aspetto della lettura, la sua condivisione.

Leggere è un aspetto fondamentale della nostra crescita e questo, se fatto insieme, porta a maggiori benefici per il proprio bambino e per sé stessi. La lettura di un libro permette ai bambini una crescita emotiva, sociale e culturale favorendo lo sviluppo delle proprie potenzialità cognitive e di comprensione del testo, ampliando allo stesso tempo il lessico.

Cosa alleniamo con la lettura condivisa?

  1. ATTENZIONE: l’attenzione è un aspetto fondamentale. Con la lettura condivisa è possibile attirare e far mantenere l’attenzione più a lungo in quanto essa presuppone la partecipazione attiva di chi ascolta. Come?
    1. Facendo domande relative al testo/alle immagini;
    2. Indicando oggetti e ripetendone il nome;
    3. Chiedendo informazioni relative alla propria vita personale. Vengono messi in gioco in particolar modo 2 tipi di attenzione: l’attenzione sostenuta e l’attenzione selettiva;
  1. MEMORIA: la memoria viene sviluppata durante e in seguito all’acquisizione di parole e dei suoni e permette di mantenere le informazioni che precedono l’avanzamento della storia;
  2. INIBIZIONE: le immagini e il testo all’interno di un albo illustrato sono correlate fra di loro e vanno ad arricchirsi a vicenda. L’inibizione favorisce l’attenzione selettiva di queste permettendo una maggiore attenzione su alcuni aspetti piuttosto che altri.

Quando iniziare a leggere in condivisione?

La lettura condivisa non ha età. È possibile iniziare a leggere con i bambini molto piccoli, anche quando ancora non parlano. Importante qui diventa la stimolazione da parte dell’adulto nell’ indicare e nel far comprendere le parole presenti nel libro. Il bambino che non sa leggere la frase mette in gioco quella che viene definita immaginazione, fantasia, la quale favorirà la creazione di una storia sempre diversa all’interno dello stesso testo.

La possiamo anche utilizzare con gli adolescenti e gli adulti, magari preferendo solo una parte del testo, piuttosto che al completo favorendo l’interesse per un tema preciso o per un’analisi critica di un argomento scomodo.

Quindi.. il mio consiglio è.. LEGGETE con i vostri bambini. Fin da quando sono molto piccoli. Favorirà il loro interesse per la lettura e li aiuterà nelle loro capacità linguistiche e sociali, portandoli ad avere sempre pronto un pensiero critico.

«La mente è una sola. La sua creatività va coltivata in tutte le direzioni». (Grammatica della fantasia) – Gianni Rodari

Dott.ssa Giorgia Ghiraldini

Educatrice sociopedagogica

Bibliografia:

  • La lettura in famiglia. Guida alla diffusione pratiche dai 0 ai 6 anni. 
  • Mazzoli E., Fai un libro. Fanne un altro., edizioni Il leone verde, 2018
LE PAURE (NON) HANNO ETÀ

LE PAURE (NON) HANNO ETÀ

Provare paura o sentirsi spaventati da qualcosa fa parte del normale percorso di crescita dei nostri bambini. Avere paura è un segnale che permette di dire al nostro corpo che ci troviamo in una situazione di pericolo e dobbiamo attivarci per fuggire e allontanarci. Il problema si innesca nel momento in cui la paura diventa eccessiva e porta ad evitare situazioni che in realtà non sono così pericolose oppure conduce al cosiddetto “freezing”, ovvero al congelamento e al blocco totale con una conseguente incapacità di reagire. Di nuovo, molto dipende dai pensieri. 

Ricordiamoci, però, che esistono delle paure fisiologiche che emergono in ciascuno dei nostri bimbi a particolari età. Per questo motivo è fondamentale capire in quale fase di sviluppo si trovano i nostri figli per discriminare tra una fobia fisiologica e una, invece, che merita attenzione da parte di un professionista. Qui di seguito troverete una tabella esplicativa che vi può essere di aiuto.

Per parlare di fobia vera e propria, invece, bisogna considerare la sua persistenza nel tempo: se perdura oltre l’intervallo di tempo che abbiamo visto in tabella, allora diventa importante lavorarci insieme per sconfiggerla!

Piccolo suggerimento che potete adottare voi genitori: incentivate i vostri figli ad avere un comportamento più sicuro e coraggioso. Ma cosa significa essere coraggiosi? Il coraggio è quella spinta che ci porta a fare cose verso cui proviamo una certa quota di timore, sfidando noi stessi sia in termini di forza fisica, che di motivazione a voler raggiungere un obiettivo e perseguire una giusta causa.

Per affrontare al meglio la paura dei vostri figli ricordatevi sempre di utilizzare l’arma del dialogo: spiegate loro in maniera concreta e razionale gli eventi temuti, tenendo in considerazione l’età e il livello di sviluppo, lasciando loro il tempo di metabolizzare e fare le giuste domande in merito ai dubbi che possono sorgere. Inoltre, è importante rassicurarli che determinati eventi di cui possono avere paura in realtà hanno una bassissima probabilità di verificarsi nella vita di tutti i giorni: questo è utile per trasmettere un senso di serenità.

Vi lascio infine un ultimo spunto: esiste anche la paura di sbagliare, molto diffusa tra i nostri bambini e ragazzi, soprattutto nel contesto scolastico! Stay tuned…in uno dei prossimi articoli approfondiremo meglio l’argomento!

Dott.ssa Zaghini Chiara

Dottoressa in Psicologia dello Sviluppo

Bibliografia:

  • Di Pietro Mario (2014). “L’ABC delle mie emozioni”. Trento, Erickson; Incidenza delle paure in un campione clinico, tratto da Kendall e Di Pietro (1995).