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Cellulare si, cellulare no? Ecco cosa dice la ricerca in psicologia

Cellulare si, cellulare no? Ecco cosa dice la ricerca in psicologia

Buongiorno, sono la dott.ssa Giulia Franco, sono psicologa dell’età evolutiva e presso lo Studio Progetto Vita mi occupo di valutazione, trattamento e potenziamento in età evolutiva.Nella quotidianità del mio lavoro mi capita spesso di incontrare bambini e ragazzi completamente assorbiti dal cellulare, che faticano a relazionarsi con i pari e con gli adulti, per questo motivo ho deciso di approfondire questa nuova realtà e di riportare in questo articolo alcune curiosità che potrebbero essere interessanti.

 

Come dicevo, vedere adulti, ma soprattutto ragazzi e anche bambini in tenera età con uno smartphone in mano ormai fa parte della nostra quotidianità.

Visto l’uso importante che ormai facciamo di questi strumenti, la ricerca in ambito psicologico ha deciso di concentrare la propria attenzione sulle conseguenze che un eccessivo utilizzo del cellulare può provocare nel nostro cervello e nel nostro essere “animale sociale”.

Hai mai provato a pensare quante volte utilizzi il cellulare in una giornata?

Recenti studi hanno fornito dati importanti a tal proposito: la nota azienda tecnologica Apple afferma che ogni giorno sblocchiamo il cellulare almeno 80 volte, mentre Dscout, società americana esperta in ricerche di mercato, riporta che in media tocchiamo, digitiamo e “strisciamo” il nostro cellulare circa 2600 volte al giorno, e questo lo facciamo in particolari momenti della giornata, soprattutto durante i pasti, riunioni, o nel tempo che dovremmo dedicare ad una bella dormita.

Una domanda che dovremmo porci è quindi..Quali sono le conseguenze di questo utilizzo così massiccio dello smartphone?

L’effetto più evidente è il ritiro e l’isolamento sociale in momenti in cui si potrebbe facilmente creare relazioni, ad esempio durante la ricreazione a scuola o la cena in famiglia, oppure ancora mentre si prende un caffè con un amico o con il partner (Chiu, S.I., 2014, Samaha, M., Hawi, N.S., 2016; Westermann, T., Moller, S., Wechsung, I., 2015)

Pensate che questo comportamento ha un nome! Con il termine “Phubbing” (da “phone”=telefono e “snubbing” =ignorare, snobbare, trascurare), neologismo inglese recentemente coniato, ci si riferisce al comportamento del non prestare attenzione all’interlocutore preferendo lo smartphone. 

Così l’uso eccessivo di smartphone può mettere a rischio i rapporti personali e professionali, e le ricerche lo dimostrano: nel 2016 il prof. James A. Roberts della Baylor University ha coinvolto in una ricerca 145 persone tra uomini e donne, e di questi il 46% ha dichiarato di aver “snobbato” con lo smartphone il proprio partner almeno una volta, il 23% ha dichiarato che il “phubbing” avesse causato la fine della propria relazione, infine il 37% si era sentito depresso almeno una volta a causa del phubbing.

 

Esiste poi un altro effetto indotto dall’uso eccessivo dello smartphone..

Non appena il cellulare suona o vibra avviene una complessa interazione di sostanze chimiche del cervello: in primis la dopamina, un neurotrasmettitore responsabile della motivazione e del comportamento alla ricerca di ricompense, e che consente con il tempo il formarsi di un’abitudine o di una dipendenza. Il rilascio di questa sostanza, con il passare del tempo, avviene anche prima della ricezione della notifica, e per questo la persona sentirà sempre più la motivazione all’utilizzo. 

Per questo abbiamo il bisogno di controllare e utilizzare il telefono sempre più spesso per ottenere la stessa risposta cerebrale. Di conseguenza non avere il cellulare a disposizione per un determinato periodo di tempo, più o meno lungo, può provocare uno stato d’ansia o addirittura sintomi simili all’astinenza.

E se controlliamo il cellulare anche durante lo studio o il lavoro, esso influenza negativamente la produttività e l’attenzione che dovremmo impiegare per svolgere correttamente le nostre attività. (Giedd, J., N., 2012; Choudhury, S., 2013; Berridge, Robinson, 1998)

 

In conclusione, l’obiettivo di questo articolo non vuole essere la svalutazione della tecnologia e delle connessioni social, ormai parte integrante e fondamentale della vita di ognuno di noi, soprattutto dopo l’emergenza Covid-19, ma vuole attivare delle riflessioni basandosi su osservazioni ottenute da ricerche scientifiche.

Dott.ssa Giulia Franco

Psicologa dell’età evolutiva

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA:

(https://www.thebestbrainpossible.com/phone-mental-health-depression-anxiety-addiction)

E ORA RILASSIAMOCI…INTRODUCIAMO IL RESPIRO PROFONDO

E ORA RILASSIAMOCI…INTRODUCIAMO IL RESPIRO PROFONDO

Rimaniamo concentrati sulle nostre emozioni… Quando non sappiamo come gestirle adeguatamente, specialmente quando tratteniamo dentro di noi troppa rabbia, senso di colpa, tristezza e tutte le altre sensazioni spiacevoli, rischiamo che il nostro corpo scoppi all’improvviso! 

Con i bambini spesso cerchiamo delle metafore che ci aiutano a farli entrare in contatto con il funzionamento del loro corpo… Recentemente abbiamo sfruttato la molla, la quale una volta tirata troppo in tensione rischia di scapparci via di mano! Ecco, anche il nostro corpo potrebbe “saltare” via proprio come una molla ed una delle reazioni più tipiche in età evolutiva è il tic. Ma che cos’è? Si tratta di una manifestazione psicosomatica, un segnale di allarme, che il corpo sta inviando all’esterno per chiedere aiuto… E se lo notiamo nei nostri figli cosa possiamo fare per aiutarli?

Sicuramente possiamo guidarli al rilassamento che permette di scaricare parte delle tensioni ed essere poi più predisposti al dialogo e alla ricerca di una soluzione alternativa e maggiormente funzionale al problema. Usare degli esercizi di respirazione può aumentare la capacità di autocontrollo nei nostri bimbi.

Scopriamo insieme come funziona il respiro profondo:

“Mettetevi in una posizione comoda. Mettete una mano sul vostro stomaco e un’altra sul vostro torace. Inspirate lentamente e guardate quale delle vostre due mani si muove. I respiri poco profondi fanno muovere la mano sul torace, i respiri profondi fanno muovere la mano sullo stomaco. Adesso, lentamente, ispirate dal vostro naso. Mentre voi inspirate, contate lentamente fino a 3 e sentite il vostro stomaco che si espande sotto la vostra mano. Trattenente il respiro per 1 secondo e quindi lentamente espirate mentre di nuovo contate fino a 3. Mentre voi inspirate, pensate alla parola “inspira”. Quando espirate, pensate alla parola “rilassati”.

Inspira 1…2…3

Trattieni 1…

Rilassati 1…2…3

Continuate l’esercizio di respiro profondo per alcuni minuti, cercando di sentirvi sempre più rilassati ogni volta che espirate.” 

La respirazione, per essere profonda, deve coinvolgere il diaframma… Ma come fare? Respirando con la pancia, gonfiandola e sgonfiandola quasi fosse un palloncino, per ritornare alle nostre amate metafore. Con alcuni bambini, in sede di terapia, si utilizzano anche dei materassini per farli stendere a terra ed essere comodi per poi, con l’aiuto di una barchetta di carta, farla “navigare” nel mare (la pancia) per far capire loro il movimento ondulatorio che devono assumere. 

Ora possedete anche voi tutte le istruzioni per provarci a casa!

Dott.ssa Chiara Zaghini 

Psicologa dell’Età Evolutiva

BIBLIOGRAFIA: 

Di Pietro Mario (2014). “L’ABC delle mie emozioni”. Trento, Erickson.

Lochman et al. (2022). “Coping Power – Programma per il controllo di rabbia e aggressività in bambini e adolescenti”. Trento, Erickson.

“FACCIAMO FINTA CHE…” UNO SGUARDO SUL GIOCO SIMBOLICO

“FACCIAMO FINTA CHE…” UNO SGUARDO SUL GIOCO SIMBOLICO

Fin da bambini veniamo a conoscenza della formula “c’era una volta…” che ci permette di entrare in un mondo parallelo fatto di luoghi fantastici, principi e principesse, streghe e maghi, oggetti magici e creature mistiche. Dopo un po’ siamo noi stessi a ricreare quei mondi che per tanto tempo erano stati solamente raccontati e immaginati e proprio attraverso le storie siamo in grado di rielaborare i nostri vissuti. Ecco che quindi i bambini iniziano a imbastire storie fantastiche, a volte più attinenti alla realtà, altre volte talmente inverosimili che anche noi adulti ci meravigliamo (e per fortuna!).

Questo tipo di gioco viene chiamato simbolico e si sviluppa già dai primi anni di vita del bambino. Per poter arrivare a un gioco complesso come quello del “far finta” è necessario superare alcune tappe fondamentali.

Innanzitutto, cos’è il simbolo?

Secondo gli antichi Greci, il simbolo era un mezzo di riconoscimento, che permetteva ai membri appartenenti di una stessa famiglia di riconoscersi tra di loro. Ma con il termine “simbolo” si identifica anche qualsiasi elemento (segno, gesto, oggetto, animale, persona) atto a suscitare nella mente un’idea diversa da quella offerta dal suo immediato aspetto sensibile, ma capace di evocarla attraverso qualcuno degli aspetti che lo caratterizzano. 

La capacità di attribuire a un oggetto un simbolo è molto complessa e si acquisisce nel tempo, grazie alla maturazione del sistema nervoso centrale e alla stimolazione ambientale ed è costituita da due abilità in particolare: quella di astrazione e quella di categorizzazione. Una volta raggiunte queste tappe il bambino comincerà a dare significati nuovi e inusuali a cose presenti e utilizzate nella vita quotidiana: un bastone può diventare una bacchetta magica o una spada, un cucchiaio può diventare un microfono. 

Mano a mano che il bambino continua a svilupparsi, comincerà a mettere in scena alcuni “teatrini” che richiamano fatti della vita quotidiana, come dare da mangiare a un bambolotto o ad alcuni animali, fare finta di essere il dottore o il meccanico. In questo modo il bambino può rielaborare e fare nuovamente esperienza, attraverso il gioco, del proprio vissuto e delle proprie emozioni, prendendone coscienza. Successivamente all’interno di queste messe in scena, saranno chiamati altri giocatori che rappresenteranno nuovi personaggi, sia veri che inventati, dando vita a storie che saranno sempre diverse e ricche di significato. 

Come favorire lo sviluppo del gioco simbolico?

Si parte da una selezione di oggetti: per sviluppare una storia non sono necessari troppi oggetti e nemmeno troppo elaborati. La scelta migliore è data dalla semplicità, il lavoro principale è dato dalla fantasia che permette al bambino di dare significato agli oggetti che sta usando. È bene quindi mettere da parte giochi strutturati, complessi e ricchi di stimoli, per lasciare spazio a scatole e scatoloni vuoti, mattoncini, coperte, corde e cuscini. 

È importante anche definire uno spazio di gioco: quanti luoghi ci sono all’interno della storia? Come sono delimitati? Anche in questo caso vale la regola della semplicità: pochi ma ben definiti. Uno spazio ben definito ci permette di sviluppare i concetti topologici. 

Un altro elemento indispensabile è il tempo: attraverso il gioco simbolico possiamo aiutare i bambini a sviluppare i nessi logici temporali, andando con la mente avanti e indietro nel tempo. Inoltre all’interno del gioco è importante rispettare i tempi del bambino: può essere che la storia vada più velocemente o più lentamente a seconda di quello che è il vissuto del bambino in quel momento esatto, è bene ascoltare e rispettare i suoi tempi, per permettergli di elaborare ciò che può dare ancora disagio. 

Ora che ci sono tutti gli elementi, manca l’ingrediente segreto: l’emozione. Tutti noi ricordiamo principalmente le storie che ci hanno emozionato. Il gioco è una storia che possiamo scrivere insieme ai bambini e che ci può far emozionare. 

Quindi iniziamo: C’era una volta…

Dott.ssa Ilaria Dissette

TNPEE

BIBLIOGRAFIA

  • Vocabolario Treccani, simbolo
  • Aucouturier B.-A. LaPierre, La simbologia del movimento. Psicomotricità ed educazione, ed. Edipsicologiche, 1978.
  • Camaioni L., Di Blasio P., Psicologia dello sviluppo, Il Mulino Manuali, 2008
  • Bondioli A., Gioco e Educazione, 2013, Franco Angeli