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MIO FIGLIO VA MALE A SCUOLA E LE MAESTRE MI HANNO CONSIGLIATO UNA VALUTAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI…MA DI COSA SI TRATTA?

MIO FIGLIO VA MALE A SCUOLA E LE MAESTRE MI HANNO CONSIGLIATO UNA VALUTAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI…MA DI COSA SI TRATTA?

Spesso accade che, nei primi anni della scuola primaria, le maestre segnalino alcune difficoltà di acquisizione dei processi legati alla lettura, alla scrittura o al calcolo. Di conseguenza, consigliano alla famiglia di effettuare una valutazione per appurare la presenza o meno di difficoltà oggettive, per poi iniziare un percorso di potenziamento mirato e la conseguente attivazione, nel contesto scolastico, delle normative atte a tutelare gli alunni con “bisogni speciali”. 

Quando, però, incontriamo voi genitori spesso ci riportate dubbi e perplessità… Eccoci qui per chiarirli una volta per tutte!

Una valutazione degli apprendimenti completa deve approfondire ognuna delle aree, indipendentemente dal fatto che la difficoltà segnalata sia specifica solo di una. Senza andare troppo nello specifico con terminologie noiose, nomi e sigle assurde, vi spiego con molta semplicità cosa andiamo ad indagare:

  • LETTURA: si parte con una classica lettura di brano ad alta voce, in cui si segnano gli eventuali errori commessi dal bambino e la velocità impiegata, per poi eventualmente approfondire attraverso la lettura di parole isolate o di parole completamente inventate, per verificare la corrispondenza tra il grafema scritto e il fonema pronunciato;
  • COMPRENSIONE: strettamente legata alla competenza di lettura, si va ad indagare quanto ciò che viene letto viene anche compreso, attraverso la lettura di un brano con le relative domande a scelta multipla a cui rispondere; questa abilità si indaga anche in modalità da ascolto, dove la lettura viene in realtà effettuata dal professionista;
  • SCRITTURA: quest’area viene indagata sia dal punto di vista ortografico, con le classiche prove di dettato, ma anche dal punto di vista della produzione scritta di un testo spontaneo; inoltre, si dedica attenzione anche al gesto grafo-motorio, per indagare la fluidità o meno nell’uso dei vari allografi (stampato e corsivo);

CALCOLO: l’area della matematica viene indagata attraverso batterie che analizzano le competenze del calcolo scritto e del calcolo a mente, oltre a prove di ragionamento logico che indagano la capacità di lavorare con materiale numerico e di saper cogliere adeguatamente il senso del numero; da non dimenticare anche l’abilità di problem-solving nella fase di risoluzione dei problemi aritmetici.

In linea di massima, queste sono le prove standard che proponiamo, ovviamente somministrate sulla base della classe frequentata dal bambino, per cui vanno ad approfondire esclusivamente quelle competenze che dovrebbero essere state acquisite in base alla programmazione scolastica. Ciò che si richiede allo studente è di svolgere i test nel miglior modo, tenendo conto che alcuni di questi prevedono anche un limite di tempo entro cui svolgerli. A noi, però, interessa vedere fino a che punto è in grado di svolgere in autonomia le prove, per comprendere dove può essere mancata l’automatizzazione di quel preciso processo. 

Successivamente alla correzione ed alla stesura della relazione, si illustrano ai genitori le prove e i risultati e si opta per un eventuale percorso di potenziamento personalizzato, oltre a prendere contatti con le insegnanti per un lavoro di squadra. Perché ricordiamoci… INSIEME SI PUÒ!

Dott.ssa Chiara Zaghini 

Psicologa dell’Età Evolutiva

Lo sviluppo dei fonemi del linguaggio 

Lo sviluppo dei fonemi del linguaggio

Ogni genitore è un attento osservatore delle tappe di sviluppo del proprio figlio. Quando iniziano a emettere i primi suoni è una gioia immensa e la parola crea un ponte di significati con tutti gli atteggiamenti che il bimbo mette in atto da quando nasce.

Il linguaggio del bambino, soprattutto nelle prime fasi di sviluppo è caratterizzato molto spesso dalla tendenza a sostituire un suono con un altro. Questo avviene per un iniziale difficoltà a percepire, riconoscere i vari suoni oppure per la tendenza a modificare l’ordine dei suoni nella parola.

Sono processi fisiologici e naturali che si riducono via via con la crescita del bambino.

Vediamo insieme come e quando vengono articolati i suoni in maniera fisiologica:

Nella lingua italiana esistono 30 suoni diversi detti fonemi. Ogni fonema si differenzia per luogo e modo di articolazione. Va sottolineato che esiste una variabilità individuale nell’acquisizione dei suoni, ma di solito il loro sviluppo, percorre delle tappe ben definite:

  • 2anni – 2anni e mezzo: producono in modo stabile i suoni M, N, P, B, T, D, K (C), G, F, L;
  • 2 anni e mezzo, 3anni: tutti i suoni prima elencati più i suoni v, s, ci e gi;
  • 3 anni, 3 anni e mezzo: tutti i suoni prima elencati più la z, gn ;
  • dopo i 3 anni e mezzo: tutti i suoni prima elencati più i suoni complessi come r, gl, sc.

La stabilizzazione del sistema fonologico si ha dai 4 anni ai 6 anni. Tuttavia per alcuni bambini, questo assestamento è più difficile da raggiungere. Quando notiamo, una mancata presenza di un suono, una cattiva pronuncia di parole (bino per vino) oppure un eloquio non comprensibile è consigliata una valutazione logopedica.

Dott.ssa Gabriella Laurino

Logopedista

DEGLUTIZIONE DISFUNZIONALE

DEGLUTIZIONE DISFUNZIONALE

La deglutizione è un meccanismo neuromuscolare che va incontro ad una fisiologica maturazione dal periodo infantile fino all’età adulta.

 

Per deglutizione disfunzionale (spesso impropriamente detta deglutizione atipica) si intende un’alterazione della deglutizione dovuta a uno squilibrio dei muscoli oro-facciali, caratterizzati dalla permanenza di alcuni movimenti della lingua non funzionali per la deglutizione adulta. Questo squilibrio influenza molti altri processi oltre la deglutizione stessa quali la suzione, la masticazione, la respirazione, la fonazione, la mimica e il gusto.

 

Nello specifico il meccanismo di sviluppo non evolve verso la fisiologica maturazione, ma rimane tendenzialmente come la deglutizione infantile in cui la spinta linguale avviene nell’area interdentale anteriore o laterale e non sullo spot palatino retroincisivo.

 

L’anomalia funzionale viene definita tale quando rimane presente oltre il periodo ritenuto fisiologico (circa 6/7 anni) ed in pratica come detto sopra la lingua, al momento dell’atto deglutitorio, spinge contro i denti o fra i denti, in posizione anteriore e/o laterale, invece di schiacciarsi contro il palato; in associazione ci sarà la presenza di un alterato comportamento neuromuscolare di tutto il distretto orofacciale.

 

E’ doveroso specificare che non è la spinta linguale in sé che crea il problema ma è la lingua che, non trovando un adeguato spazio funzionale, genererà uno squilibrio globale di tutte le strutture coinvolte. Poiché si tratta di una situazione complessa, si parla propriamente di squilibrio muscolare orofacciale (detto SMOF).

Per questo motivo si rende necessario un lavoro multidisciplinare grazie ad una stretta collaborazione tra varie figure come il Logopedista, l’Ortodonzista, il Foniatra e l’Osteopata.


Le cause principali possono essere:
• alterazioni delle strutture dentali e scheletriche in sviluppo o malocclusioni
• traumi, ferite o malattie del complesso muscolare oro-facciale
• postura della lingua scorretta causata da vizi orali (succhiamento della lingua, del pollice o uso prolungato del ciuccio)
• disfunzioni a carico del Sistema Nervoso Centrale
• respirazione orale con atteggiamento anomalo della lingua conseguente a patologie di natura otorinolaringoiatrica ed allergologica

 

La deglutizione disfunzionale va ad influenzare processi che vanno oltre la deglutizione stessa, generando:
• alterazioni estetiche e mimiche
• crescita anomala dei denti e alterazione dell’occlusione dentaria (sovraffollamento per mancato spazio)
• palato alto e stretto (ogivale)
• difetti di pronuncia di alcuni suoni

  • difficoltà di attenzione e concentrazione con possibile ricaduta sugli apprendimenti
    • problemi di masticazione
    • eccessivo muco dal naso, tosse, raffreddore e febbri frequenti.
    • disturbi alla vista
    • problemi posturali a carico della colonna vertebrale
    Una deglutizione scorretta interessa quindi anche altri apparati come quello respiratorio, quello gastrico, quello visivo e quello muscolo scheletrico.

 

Nello specifico:
• il palato stretto genera una difficoltà della lingua a sollevarsi determinando una respirazione prettamente orale; ciò induce un ristagno di muco nei seni paranasali e una conseguente infiammazione delle adenoidi e delle tonsille
• il bambino che ha difficoltà a deglutire è spesso affetto da otiti: il muco, anziché essere drenato nel cavo faringeo, ristagna all’interno della tuba uditiva
• le alterazioni della pressione aerea durante l’atto deglutitorio provocano una compressione della membrana cocleare, producendo suoni vaghi e fastidiosi che si traducono in acufeni
• una deglutizione disfunzionale aumenta la quota di aria ingerita generando aereofagia, con possibile presenza di irritabilità intestinale, tensione addominale e flatulenza
• l’atteggiamento tonico posturale scorretto del capo durante la deglutizione incide sulla postura generale generando a lungo scompensi che possono manifestarsi in sintomatologie muscolo scheletriche a carico dei segmento cervicale, dorsale o lombare

  • in conseguenza allo squilibrio scritto sopra si rilevano poi alterazioni di adattabilità nella funzionalità visiva: spesso si riscontrano difficoltà nella messa a fuoco (forie), strabismi e stanchezza oculare

 

Per quanto riguarda l’età adulta i possibili sintomi derivanti ad una deglutizione disfunzionale sono:
• problematiche respiratorie (ridotta mobilità del diaframma)

  • disturbi del sonno
    • problemi alla tiroide
    • click e disfunzioni dell’articolazione temporo mandibolare (ATM)
    • acufeni e ronzii
    • problemi digestivi (reflusso gastro esofageo)
    • cervicalgia
    • cefalea muscolo tensiva
    • dolore lombare

 

Il trattamento di elezione in caso di deglutizione disfunzionale e di squilibrio muscolare orofacciale è la terapia miofunzionale svolta dal Logopedista che, dopo un’attenta valutazione, metterà in atto il relativo programma riabilitativo personalizzato.
Il programma riabilitativo ha come obiettivo finale l’equilibrio armonico della muscolatura del viso e l’apprendimento del corretto meccanismo deglutitorio.

Per raggiungere tale obiettivo è necessario ripristinare le funzioni orali se alterate quali: la respirazione, l’alimentazione (masticazione – deglutizione), la produzione dei suoni del linguaggio, la mimica facciale, e l’eventuale lavoro posturale.

Attraverso l’Osteopatia vengono valutate le capacità di espressione, di sviluppo embriologico e di competenza di adattamento dei muscoli, legamenti, ossa e in generale di tutti i tessuti e fluidi della sfera cranica in rapporto diretto all’espressione di deglutizione, ma anche di tutte quelle strutture che, a distanza, possono condizionarla o esserne condizionate.

 

Alcune aree di particolare interesse da individuare ed approcciare ai fini del trattamento osteopatico sono:

  • componenti della loggia cervicale
  • capacità di espressione degli archi faringei
  • base cranica (SSB) e ossa temporali
  • area cranio cervicale OAE (C0-C1-C2) 
  • membrane durali craniche
  • strutture dello splancnocranio (mascellare, etmoide, ossa zigomatiche, palatini, vomere e ossa nasali)
  • muscolatura sovra e sottoioidea (in particolare muscolo miloioideo)
  • fascia cervicale media e profonda
  • relazioni tra ioide-sterno e ioide-cervicali
  • lingua in relazione con occipite e ioide
  • sterno (in proiezione dell’esofago)
  • diaframma


L’Osteopata indaga sulle aree in sovraccarico citate sopra, armonizzando tra loro le strutture che devono assolvere alla deglutizione, andando a far ritrovare il corretto spazio funzionale e di espressività delle componenti deglutitorie e respiratorie da cui gioveranno anche l’articolazione verbale fonatoria ed il riequilibrio della muscolatura orofacciale.

 

Inoltre il lavoro di equipe ed integrazione con il Logopedista (attraverso la terapia miofunzionale per riorganizzare lo schema motorio) e l’Ortodonzista (per modulare/correggere l’occlusione, le arcate dentarie e il morso) ottimizza i tempi di recupero e garantisce il mantenimento dei risultati ed evita possibili recidive.

Andrea Viale DO – Osteopata

Dott.ssa Gabriella Laurino – Logopedista

“FACCIAMO FINTA CHE…” UNO SGUARDO SUL GIOCO SIMBOLICO

“FACCIAMO FINTA CHE…” UNO SGUARDO SUL GIOCO SIMBOLICO

Fin da bambini veniamo a conoscenza della formula “c’era una volta…” che ci permette di entrare in un mondo parallelo fatto di luoghi fantastici, principi e principesse, streghe e maghi, oggetti magici e creature mistiche. Dopo un po’ siamo noi stessi a ricreare quei mondi che per tanto tempo erano stati solamente raccontati e immaginati e proprio attraverso le storie siamo in grado di rielaborare i nostri vissuti. Ecco che quindi i bambini iniziano a imbastire storie fantastiche, a volte più attinenti alla realtà, altre volte talmente inverosimili che anche noi adulti ci meravigliamo (e per fortuna!).

Questo tipo di gioco viene chiamato simbolico e si sviluppa già dai primi anni di vita del bambino. Per poter arrivare a un gioco complesso come quello del “far finta” è necessario superare alcune tappe fondamentali.

Innanzitutto, cos’è il simbolo?

Secondo gli antichi Greci, il simbolo era un mezzo di riconoscimento, che permetteva ai membri appartenenti di una stessa famiglia di riconoscersi tra di loro. Ma con il termine “simbolo” si identifica anche qualsiasi elemento (segno, gesto, oggetto, animale, persona) atto a suscitare nella mente un’idea diversa da quella offerta dal suo immediato aspetto sensibile, ma capace di evocarla attraverso qualcuno degli aspetti che lo caratterizzano. 

La capacità di attribuire a un oggetto un simbolo è molto complessa e si acquisisce nel tempo, grazie alla maturazione del sistema nervoso centrale e alla stimolazione ambientale ed è costituita da due abilità in particolare: quella di astrazione e quella di categorizzazione. Una volta raggiunte queste tappe il bambino comincerà a dare significati nuovi e inusuali a cose presenti e utilizzate nella vita quotidiana: un bastone può diventare una bacchetta magica o una spada, un cucchiaio può diventare un microfono. 

Mano a mano che il bambino continua a svilupparsi, comincerà a mettere in scena alcuni “teatrini” che richiamano fatti della vita quotidiana, come dare da mangiare a un bambolotto o ad alcuni animali, fare finta di essere il dottore o il meccanico. In questo modo il bambino può rielaborare e fare nuovamente esperienza, attraverso il gioco, del proprio vissuto e delle proprie emozioni, prendendone coscienza. Successivamente all’interno di queste messe in scena, saranno chiamati altri giocatori che rappresenteranno nuovi personaggi, sia veri che inventati, dando vita a storie che saranno sempre diverse e ricche di significato. 

Come favorire lo sviluppo del gioco simbolico?

Si parte da una selezione di oggetti: per sviluppare una storia non sono necessari troppi oggetti e nemmeno troppo elaborati. La scelta migliore è data dalla semplicità, il lavoro principale è dato dalla fantasia che permette al bambino di dare significato agli oggetti che sta usando. È bene quindi mettere da parte giochi strutturati, complessi e ricchi di stimoli, per lasciare spazio a scatole e scatoloni vuoti, mattoncini, coperte, corde e cuscini. 

È importante anche definire uno spazio di gioco: quanti luoghi ci sono all’interno della storia? Come sono delimitati? Anche in questo caso vale la regola della semplicità: pochi ma ben definiti. Uno spazio ben definito ci permette di sviluppare i concetti topologici. 

Un altro elemento indispensabile è il tempo: attraverso il gioco simbolico possiamo aiutare i bambini a sviluppare i nessi logici temporali, andando con la mente avanti e indietro nel tempo. Inoltre all’interno del gioco è importante rispettare i tempi del bambino: può essere che la storia vada più velocemente o più lentamente a seconda di quello che è il vissuto del bambino in quel momento esatto, è bene ascoltare e rispettare i suoi tempi, per permettergli di elaborare ciò che può dare ancora disagio. 

Ora che ci sono tutti gli elementi, manca l’ingrediente segreto: l’emozione. Tutti noi ricordiamo principalmente le storie che ci hanno emozionato. Il gioco è una storia che possiamo scrivere insieme ai bambini e che ci può far emozionare. 

Quindi iniziamo: C’era una volta…

Dott.ssa Ilaria Dissette

TNPEE

BIBLIOGRAFIA

  • Vocabolario Treccani, simbolo
  • Aucouturier B.-A. LaPierre, La simbologia del movimento. Psicomotricità ed educazione, ed. Edipsicologiche, 1978.
  • Camaioni L., Di Blasio P., Psicologia dello sviluppo, Il Mulino Manuali, 2008
  • Bondioli A., Gioco e Educazione, 2013, Franco Angeli
SCOPRIAMO INSIEME IL TERMOMETRO DELLE EMOZIONI!

SCOPRIAMO INSIEME IL TERMOMETRO DELLE EMOZIONI!

Vi ricordate la nostra rubrica a tema EMOZIONI? Bene, ora riprendiamo quei concetti e, in particolare, capiamo meglio a cosa serve il famoso strumento del termometro

Si tratta di un aggancio visivo utilizzato solitamente con bambini e ragazzi che hanno difficoltà nel riconoscimento o nella gestione delle proprie emozioni. Li aiuta ad imparare che le emozioni non sono una dimensione dicotomica (la provo VS non la provo), ma che si collocano in un continuum e che quindi la stessa può avere intensità differenti. 

Abbiamo già accennato anche al “vocabolario emotivo”: ogni emozione, infatti, a seconda dell’intensità in cui si presenta, può essere denominata in maniera diversa. Il termometro, quindi, ci permette di arricchire il nostro lessico e far sì che gli altri, in questo caso gli adulti, possano capire lo stato d’animo provato dal bambino. 

Ovviamente è uno strumento che noi professionisti proponiamo in sede di trattamento, ma che con tutta semplicità potete creare anche voi genitori a casa o voi insegnanti a scuola. Scopriamo, quindi, con che finalità può essere utilizzato!

  • Per individuare l’intensità di una propria emozione sperimentata in seguito ad un determinato evento, promuovendone il racconto;
  • Per prevedere l’intensità dell’emozione che si potrebbe provare in seguito ad un determinato evento, per migliorare l’approccio e la gestione di quell’emozione, specialmente se spiacevole;
  • Per immaginare come potrebbe sentirsi un’altra persona in seguito ad un determinato evento, per incrementare le cosiddette competenze empatiche di rispecchiamento emotivo.

Al fine di facilitare la comprensione delle emozioni, può essere utile creare questo supporto per ciascuna emozione di base. Io stessa ne ho creati 5, suddividendoli in 3 fasce di intensità: poco, abbastanza e molto. Un’altra versione può, invece, essere realizzata strutturandola su 10 livelli. Ognuno di questi necessita, come abbiamo detto precedentemente, di essere denominato con il termine più idoneo. 

Per rendere lo strumento ancora più accattivante, ho scelto di ispirarmi ai personaggi del cartone animato “Inside Out”, ben conosciuto dai nostri piccoli pazienti! Ma qualsiasi altro suggerimento o nota creativa è ben accetta!

Dott.ssa Chiara Zaghini 

Psicologa dell’Età Evolutiva

BIBLIOGRAFIA: 

Di Pietro Mario (2014). “L’ABC delle mie emozioni”. Trento, Erickson.

“Inside Out” (2015).

MIO FIGLIO HA UN DSA… CHI O COSA PUÒ AIUTARLO A SCUOLA?

MIO FIGLIO HA UN DSA… CHI O COSA PUÒ AIUTARLO A SCUOLA?

Dopo aver svolto una valutazione degli apprendimenti scolastici ed aver stilato un profilo di funzionamento completo del bambino o ragazzo, il clinico esperto in Disturbi Specifici dell’Apprendimento può chiudere una diagnosi per DSA. Ma cosa implica questa dicitura? 

Tranquilli, non ci spaventiamo prima del dovuto! Avere un DSA non è nulla di così scandaloso, significa semplicemente che i nostri figli faticano ad automatizzare alcuni processi implicati negli apprendimenti che per noi risultano spontanei, ma ciò non significa che siano meno intelligenti dei loro compagni. 

Fortunatamente il mondo della scuola può tutelarli attraverso una legge specifica, creata ad hoc per rispondere ai bisogni ed alle necessità che i ragazzi con DSA possono incontrare lungo il loro percorso scolastico, sia che si tratti della scuola primaria o secondaria, per non dimenticarci infine dell’università!

La legge in questione si chiama “LEGGE 8 ottobre 2010, n. 170” ed è quella che trovate citata proprio nei referti delle valutazioni. Si tratta di una normativa italiana che promuove l’inclusione scolastica degli studenti che presentano una diagnosi di DSA. Nello specifico, infatti, sono inserite le nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico. Lo scopo di questa normativa è fornire il giusto riconoscimento e la corretta definizione di dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia, oltre ad elargire tutte le necessarie misure educative e didattiche di supporto, che si esplicano nella creazione di un PDP (Piano Didattico Personalizzato). Questo documento contiene gli strumenti compensativi e/o dispensativi che l’alunno DEVE assolutamente usare nel contesto scolastico, sia in sede di lezione frontale, sia durante lo studio pomeridiano ma soprattutto nelle fasi di valutazione e di verifica.

Alcuni esempi di strumenti riguardano: semplificazione delle verifiche scritte, fornendo maggior tempo a disposizione o riducendo il numero di esercizi proposti; predilezione delle interrogazioni orali; uso di mappe e schemi per lo studio; focus sul contenuto degli elaborati scritti piuttosto che sulla forma; risorse digitali come uso di computer e calcolatrice; utilizzo del dizionario anche nelle lingue straniere… Ogni professionista è tenuto a stilare una lista di strumenti specifici e personalizzati per il singolo studente, i quali andranno poi riportati dal team docente all’interno del famoso PDP, documento che andrà necessariamente condiviso anche con la famiglia.

Non dimentichiamoci il fondamentale lavoro di rete tra famiglia, scuola e professionisti…dobbiamo essere una squadra! L’attivazione di questa normativa è fondamentale per i ragazzi per non sperimentare eccessiva frustrazione di fronte al riconoscimento delle loro difficoltà e guadagnare in autostima grazie ai numerosi successi che possono così ottenere!

Dott.ssa Chiara Zaghini 

Psicologa dell’Età Evolutiva

CAMPANELLI D’ALLARME PER LO SVILUPPO DELL’AUTISMO: COSA DOVRESTI SAPERE

CAMPANELLI D’ALLARME PER LO SVILUPPO DELL’AUTISMO: COSA DOVRESTI SAPERE

Buongiorno a tutti, mi presento sono la Dott.ssa Alessia Lazzaretto, sono una psicologa esperta in psicopatologie dello sviluppo e all’interno di Studio Progetto Vita mi occupo di percorsi di sostegno rivolti non solo a ragazzi e bambini ma, anche ad adulti.  In questo articolo vorrei parlarti dei disturbi dello spettro autistico. Anche voi genitori potete infatti avere un ruolo chiave nella diagnosi precoce di tali disturbi: vediamo insieme come poter individuare qualche segnale utile per indirizzarvi a richiedere un eventuale approfondimento diagnostico.

Per incominciare vediamo insieme in cosa consiste questo disturbo: le caratteristiche fondamentali dei disturbi dello spettro autistico fanno riferimento alla presenza di uno sviluppo deficitario o notevolmente anomalo della comunicazione e dell’interazione sociale ed alla ristrettezza del repertorio di interessi ed attività.  L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che circa 1 bambino ogni 100 abbia disturbi dello spettro autistico, con una netta prevalenza nella popolazione maschile rispetto a quella femminile e che questi possano essere diagnosticati sin dalla prima infanzia. La diagnosi precoce è di fondamentale importanza perché offre la chance di intervenire sin da subito, aumentando le possibilità di incidere nello sviluppo comunicativo, relazionale e sociale di questi bambini. Identificare segnali precoci è quindi fondamentale per poter intervenire tempestivamente. E’ importante sottolineare che i primi segnali non comportano la presenza di comportamenti anomali ma l’assenza di comportamenti normali e, proprio per questo motivo, può essere più difficoltoso riuscire ad individuarli e a darvi il giusto significato. Ma…i bambini autistici quali sintomi presentano? I primi sintomi compaiono già nella prima infanzia…

Vediamo ora insieme alcuni campanelli d’allarme che potrebbero schiarirci le idee:

  • Ritardo nella Comunicazione verbale o non verbale

 I bambini possono mostrare un ritardo nel parlare o nell’usare gesti comunicativi (es. indicazione). Se notate che il vostro bambino non risponde alle vostre parole, ai gesti o ai vostri sorrisi, potrebbe essere un campanello d’allarme.


  • Difficoltà nelle interazioni sociali

 I bambini possono avere difficoltà nell’instaurare e mantenere le relazioni sociali. Potrebbero infatti mostrarsi disinteressati agli altri, evitare lo sguardo diretto o avere difficoltà a comprendere le emozioni altrui.


  • Comportamenti ripetitivi o insoliti

E’ comune la ripetizione di movimenti (es. sfarfallio delle mani), la presenza inoltre di interessi intensi su specifici oggetti o routine fisse sono comuni nei bambini con autismo. 

Fateci caso se notate comportamenti inconsueti o eccessivamente ripetitivi. 

  • Difficoltà nell’adattarsi ai cambiamenti

 I bambini con queste caratteristiche spesso preferiscono la routine e possono avere difficoltà nell’affrontare cambiamenti improvvisi. Spesso bambini con queste caratteristiche possono mostrare resistenza e disagio di fronte a modifiche nella routine quotidiana.

  • Ritardo nel gioco sociale

Il gioco sociale è spesso un’area in cui possono mostrare ritardi. Può accadere che il bambino fatichi a partecipare al gioco condiviso con altri bambini o non riesca a sviluppare giochi di fantasia.

È importante sottolineare che questi segnali non sono necessariamente indicativi di autismo e che ogni bambino è un individuo unico con le sue caratteristiche personali. Tuttavia, se sorgono preoccupazioni, consultare un professionista è la chiave per una valutazione accurata. L’intervento precoce può infatti fare la differenza nel migliorare le abilità e la qualità della vita dei bambini con queste caratteristiche. Genitori, prendetevi cura anche di voi! in questo percorso a volte difficoltoso tenetevi a mente e fatevi supportare seguendo dei percorsi psicologici di supporto o dei parent training.

Dott.ssa Alessia Lazzaretto 

Psicologa

Bibliografia

  • DSM-V – Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (quinta edizione) (2014). Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Keller R. I disturbi dello spettro autistico in adolescenza e in età adulta. Aspetti diagnostici e proposte di intervento. Erickson (2016).
  • Volkmar F. R. I Disturbi dello spettro autistico. Edra; 3° edizione (2020).
  • Xaiz C. e Micheli E. Gioco e interazione sociale nell’autismo. Cento idee per favorire lo sviluppo dell’intersoggettività. Erickson (2013).
Brutta scrittura? Ecco quali possono essere le cause e cosa si può fare

Brutta scrittura? Ecco quali possono essere le cause e cosa si può fare

Ogni tanto è possibile vedere che nei quaderni dei bambini la scrittura può non essere bella o facilmente leggibile. Questo può essere semplice disinteresse oppure un sintomo di disgrafia. La disgrafia è nota come un disturbo specifico della scrittura nella riproduzione di segni alfabetici e numerici. 

Come si manifesta? Uno dei segnali più lampanti è, come già citato, è il fatto che la scrittura risulta graficamente brutta e poco leggibile, non si distinguono bene le lettere oppure si confondono. 

Altri segnali più specifici sono: 

  • Impugnatura scorretta dello strumento grafico, quale penna, matita o pennarello
  • Tratto molto marcato, con possibili solchi sul foglio
  • Non viene rispettato il margine sinistro del foglio
  • Non viene rispettata la riga di scrittura
  • Il bambino lamenta che dopo un po’ la mano fa male

J.De Ajuraguerrà ha identificato diverse tipologie di disgrafia in base alla presenza di alcuni segni grafici e di difficoltà motorie o stati emotivi: 

  • Disgrafia dei Rigidi: la scrittura appare tesa, il tracciato presenta molti angoli e alcune lettere vengono ritoccate. La postura è generalmente contratta, il tratto marcato e il bambino manifesta dolori alla mano.  
  • Disgrafia dei Molli: il tracciato è poco curato, non viene rispettato il rigo e la costanza di dimensione dei grafemi; il bambino fatica a gestire la propria postura e lo strumento grafico.
  • Disgrafia degli Impulsivi: la scrittura si presenta poco fluida e a scatti, con difficoltà di gestione e strutturazione dello spazio.
  • Disgrafia dei Maldestri: la scrittura è goffa, con dimensioni irregolari delle lettere, vengono considerate maldestre tutte le disgrafie rigide, molli ed impulsive.
  • Disgrafia dei Lenti: la scrittura è lenta, statica, e molto curata, a volte si osservano tremolii e incertezze nel movimento. In generale la scrittura causa molto affaticamento. 

In generale i bambini disgrafici presentano lacune marcate in alcune aree come quella grafo-motoria, visuo-spaziale, di coordinazione e di memoria di lavoro. 

Ci sono alcuni accorgimenti che possono essere utilizzati sia a casa che a scuola e che possono aiutare i bambini ad acquisire meglio la scrittura e soprattutto a fare meno fatica. 

A seconda dei casi possono essere introdotti particolari tipi di matite con fusto triangolare e prese per l’impugnatura, oppure quaderni che evidenziano i margini e la riga. Per altri consigli specifici si può fare riferimento a uno specialista. 

Buona scrittura!!

Bibliografia: 

  • Disgrafia e difficoltà grafo-motorie, Pratelli M., 2022, Erickson
  • Test BHK Scala sintetica per la valutazione della scrittura in età evolutiva, Di Brina C., Rossini G., 2021, Erickson
Il ruolo delle funzioni esecutive: la pianificazione

Il ruolo delle funzioni esecutive: la pianificazione

Nuovo articolo, nuova funzione esecutiva. E’ giunto il momento di parlare di painificazione che per definizione è quell’insieme di attività cognitive che anticipano e regolano il comportamento e consentno di eseguire una sequenza di azioni al fine di raggiungere una meta.

Questa funzione cognitiva necessità del coinvolgimento e della modulazione di altre funzioni mentali quali l’attenzione, l’astrazione, il ragionamento, la memoria di lavoro, la formulazione di un piano d’azione, il monitoraggio delle azioni e la valutazione del risultato. Per essere in grado di pianificare, infatti, è necessario innanzititto dirigere l’attenzione e focalizzarla sul problema in modo funzionale. 

In aggiunta, la pianificazione risulta di così fondamentale importanza perché è coinvolta anche in altri processi cognitivi superiori come ad esempio il porblem solving (risoluzione di un problema) e i porcessi di decision making (capacità di decidere)

 

In che modo potenziare la pianificazione?

Le attività per allenare questa importante abilità cognitiva sono molteplici e come scoprirete, molti di questi giochi sono facilmente reperibili e utilizzabili.

Eccone alcuni per voi:

  • Tangram, un gioco rompicapo di origine orientale che si compone di sette tavolette (dette tan) suddivise in 5 traingoli, 1 quadrato e 1 parallelogramma inizialmente disposte a formare un quadrato. Scopo del gioco è comporre determinate figure utilizzando tutti i pezzi a disposizione senza sovrapporli e con la possibilità di ruotarli.
  • Il gioco del quindici, gioco della tradizione che piace a grandi e piccini; consiste in una tabella a forma quadrangolare suddivisa in 16 quadrati (quattro righe e quattro colonne) su cui sono posizionate 15 tessere numerate in modo progressivo da 1 a 15, che possono scorrere in direzione verticale o orizzontale. Scopo del gioco è quello di riordinare le tesseree a partire da una configurazione iniziale disordinata in cui tutti i nuemeri sono presentati in modo casuale. Oltre al gioco fisico, sono presenti anche risorse digitali gratutite quali ad esempio Skill 15.
  • Mastermind, gioco da tavolo che prevede che un giocatore assuma il ruolo di “decodificatore” che ha il compito di indovinare il codice segreto (4 palline di diverso colore poste in serie) creato e composto da un secondo giocatore, nel ruolo di “codificatore”. Il codice segreto può essere indovinato attraverso una serie di tentativi grazie ai feedback che provengono dal codificatore il quale può dare informazioni all’avversario rispetto alla correttezza o meno del colore e della posizione. Questo gioco oltre che coinvolgere le abilità di painificazione, richiede anche l’attivazione dekke abilità di problem solving e di memoria di lavoro; I bambini o i ragazzi impegnati in questo gioco, infatti, devono focalizzare l’attenzione sui feedback del codificatore, implementarli, verificare e monitorare le sue risposte e operare eventuali modifiche e aggiusamenti al fine di svelare il codice; un gioco quindi complesso ma davvero molto accattivante e coinvolgente.
  • Labirinti, utili soprattutto per i più piccoli ma, proponendone alcuni di difficoltà maggiore sono delle attività sempre molto stimolanti e accattivanti per i bambini; la modalità di proposta principale è quella di schede “carta-matita” ma potete facilmente trovare anche attività computerizzate reperbili gratuitamente in rete

Che vi dicevo? Molti di questi sono giochi a voi noti vero? 

Da oggi in poi sapete che, divertendovi e giocando, avete la possibilità di allenare le abilità di pianificazione vostre e dei vostri bambini! E quindi…. evviva il gioco !!!

Dott.ssa Benedetta Levorato

Psicologa dell’età evolutiva

Bibliografia:

  • Marotta L. e Varvara P. (2013), Funzioni esecutive nei DSA – Disturbo di Lettura: Valutazione e Intervento, Trento, Edizioni Erickson.
L’EMOZIONE DELLA SORPRESA È BELLA O BRUTTA?

L’EMOZIONE DELLA SORPRESA È BELLA O BRUTTA?

Quando abbiamo parlato delle emozioni fondamentali, abbiamo visto come se ne sia aggiunta una sesta, la sorpresa. Anche questa, quindi, fa parte del repertorio emotivo di ciascuno di noi, ma scopriamo insieme di che cosa si tratta.

Tendenzialmente, si sperimenta sorpresa di fronte a situazioni nuove ed inaspettate. Però c’è da fare un’importante distinzione tra una sorpresa intesa in senso piacevole e una, invece, spiacevole.

Ad esempio, quando i nostri bimbi ricevono un bel regalo o qualcuno organizza loro una festa, l’espressione che si stampa sul loro viso è di sorpresa e stupore. A questa si può, quindi associare, la gioia nello scartare il regalo e scoprire che si tratta proprio di quello tanto desiderato. La sorpresa, quindi, si può intersecare e sovrapporre ad altre emozioni che abbiamo conosciuto nelle “puntate” precedenti.

Ma la mimica tipica della sorpresa la possiamo intravedere anche in un contesto non così piacevole come quando, ad esempio, succede qualcosa che non ci si aspettava e che scombussola i piani. Insieme alla sorpresa, quindi, si può sperimentare anche paura e preoccupazione di fronte all’ignoto; i bambini o i ragazzi possono avvertire la perdita di un punto di riferimento e il dubbio rispetto a cosa fare o non fare. 

Fondamentale guardare queste ultime situazioni da una prospettiva diversa: cambiamo le lenti dei nostri occhiali attraverso cui guardiamo il mondo! Trasmettiamo ai nostri ragazzi l’idea che, anche imbattendoci in qualcosa di inaspettato, questo possa poi rivelarsi un’ottima occasione di apprendimento, in cui sperimentare nuove competenze e in cui raggiungere nuovi obiettivi attraverso questa nuova sfida. La novità deve essere sempre accolta come qualcosa di positivo, come fonte di crescita!

Dott.ssa Zaghini Chiara

Dottoressa in Psicologia dello Sviluppo

Bibliografia:

  • Di Pietro Mario (2014). “L’ABC delle mie emozioni”. Trento, Erickson.