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L’APPROCCIO OSTEOPATICO NEI BAMBINI AFFETTI DA DISTURBI DELL’ATTENZIONE (ADHD)

L’APPROCCIO OSTEOPATICO NEI BAMBINI AFFETTI DA DISTURBI DELL’ATTENZIONE (ADHD)

Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) è un disturbo neuro evolutivo che colpisce comunemente bambini e adolescenti, interessando il 5-15% della popolazione pediatrica, con un’incidenza doppia nei maschi. Tale disturbo è caratterizzato da una durata scarsa o breve dell’attenzione con aggiunta o meno di vivacità e impulsività eccessive non appropriate all’età del bambino, che interferiscono con le funzionalità o lo sviluppo. 

 

Si tratta di un disturbo cerebrale presente dalla nascita o che si sviluppa subito dopo.

Alcuni bambini manifestano difficoltà soprattutto di attenzione prolungata, concentrazione e capacità di portare a termine le attività; altri bambini sono iperattivi e impulsivi; altri ancora manifestano entrambi gli stati. 

Le cause di questa condizione clinica sono ancora sconosciute; gli studi hanno individuato molteplici processi eziologici tra cui i più probabili sono riconducibili a fattori genetici, traumatici, neurologici e ambientali. La ricerca indica che probabilmente l’ADHD è causato da alterazioni dei neurotrasmettitori (sostanze che trasmettono gli impulsi nervosi al cervello). Alcuni altri fattori di rischio sono basso peso alla nascita (inferiore a 1500 grammi), lesioni craniche, infezioni cerebrali, carenza di ferro, apnea ostruttiva nel sonno ed esposizione a piombo, nonché ad alcol o tabacco o droghe, prima della nascita. Può anche essere associato a eventi traumatici durante la prima infanzia.

 

I sintomi del disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività possono essere di entità da lieve a grave, possono diventare esagerati o costituire un problema in alcuni ambienti, in particolare a casa del bambino o a scuola.

Per la diagnosi delle difficoltà in bambini con profilo ADHD si utilizzano i criteri diagnostici clinici tra i quali il DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), i test BIA (Batteria Italiana per l’ADHD), il Test delle Campanelle di Biancardi/Stoppa, questionari compilati da genitori e insegnanti, oltre che osservazioni del bambino.

Il trattamento standard del disturbo da deficit di attenzione/iperattività si avvale dell’utilizzo di strategie psicologiche comportamentali, parent training e della terapia farmacologica con farmaci stimolanti come metilfenidato o destroanfetamina (in preparazioni a breve e a lunga durata d’azione). Studi controllati randomizzati mostrano che le terapie comportamentali e la terapia farmacologica sono meno efficaci se usate singolarmente per i bambini in età scolare, ma la terapia comportamentale o di combinazione è raccomandata per i bambini più piccoli. 

Sebbene i farmaci non determinino la correzione delle sottostanti differenze neurofisiologiche dei pazienti con disturbo da deficit di attenzione/iperattività, tuttavia sono efficaci nel ridurre la sintomatologia e permettono al paziente di partecipare ad attività e a compiti precedentemente impossibili a causa della scarsa attenzione ed impulsività. I farmaci permettono di controllare i comportamenti anomali potenziando così gli interventi cognitivo comportamentali, la motivazione e l’autostima.

L’impiego di medicine complementari e alternative per la gestione dei bambini con ADHD è stato a lungo indagato, eppure mancano ancora prove robuste a riguardo.

Un’iniziale risposta dalla medicina Osteopatica è partita nel 2012 con un interessante ed approfondito studio italiano pubblicato sul “Journal of American Osteopathic Association”.

L’obiettivo primario del presente studio è stato quello di determinare l’effetto della terapia manipolativa osteopatica sui livelli di attenzione nei bambini con ADHD. In particolare, sono state valutate le differenze nei punteggi Biancardi-Stroppa Test tra i bambini che hanno ricevuto il Trattamento Manipolativo Osteopatico (OMT) associato alle cure convenzionali e i bambini che hanno ricevuto soltanto la cura convenzionale.

Alla fine del periodo di studio, si è riscontrata una differenza statisticamente significativa tra il gruppo studio e il gruppo controllo rispetto i punteggi Biancardi-Stroppa Test nella rapidità, ma non nella precisione. Invece, con la regressione lineare multivariata, il Trattamento Manipolativo Osteopatico è stato associato positivamente a un cambiamento nel punteggio del Test Biancardi- Stroppa in termini di precisione.

 

Ciò che è emerso ha evidenziato un miglioramento nell’accuratezza e questo dimostra un miglioramento nelle capacità di concentrazione, focalizzazione e esclusione dei fattori distraenti. Importante è inoltre sottolineare che durante il periodo di studio non sono stati registrati effetti collaterali causati dal Trattamento Manipolativo Osteopatico.

 

Questo studio ha dunque mostrato gli effetti benefici dell’Osteopatia applicata ai bambini con ADHD. L’uso di OMT, in aggiunta alla terapia convenzionale, è stato associato a un miglioramento statisticamente significativo nell’attenzione. I risultati del presente studio randomizzato controllato suggeriscono perciò che il Trattamento Manipolativo Osteopatico, in aggiunta al trattamento convenzionale, può migliorare le prestazioni di attenzione selettiva e mantenuta nei bambini con Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività.

La medicina Osteopatica integrandosi con il team di figure professionali che ruotano attorno ai piccoli Pazienti, mantiene il suo compito di aumentare lo Stato di Salute, migliorando il grado di relazione con gli stimoli ambientali e modulando la risposta neurologica autonomica e centrale agli input esterni. In questo modo le riserve adattative e la gestione metabolica delle risorse potrà essere gestita al meglio e nei bambini che presentano un disturbo da ADHD questo si tradurrà in un’opportunità ulteriore nel favorire maggiori capacità di adattamento e di gestione della sintomatologia.

 

Andrea Viale DO – Osteopata

BIBLIOGRAFIA

 

  • Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders – DSM5
  • https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/pediatria/disturbi-dell-apprendimento-e-dello-sviluppo/disturbo-da-deficit-di-attenzione-adhd
  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/24778002/
Lettura condivisa: perché è importante?

Lettura condivisa degli albi illustrati: perché è importante?

Benvenuti in questo nuovo articolo!

Come avrete capito amo il mondo della lettura per l’infanzia e ogni giorno, sempre più, cerco di formarmi per essere pronta a qualsiasi richiesta mi facciano sull’argomento.

Oggi vediamo insieme un altro aspetto della lettura, la sua condivisione.

Leggere è un aspetto fondamentale della nostra crescita e questo, se fatto insieme, porta a maggiori benefici per il proprio bambino e per sé stessi. La lettura di un libro permette ai bambini una crescita emotiva, sociale e culturale favorendo lo sviluppo delle proprie potenzialità cognitive e di comprensione del testo, ampliando allo stesso tempo il lessico.

Cosa alleniamo con la lettura condivisa?

  1. ATTENZIONE: l’attenzione è un aspetto fondamentale. Con la lettura condivisa è possibile attirare e far mantenere l’attenzione più a lungo in quanto essa presuppone la partecipazione attiva di chi ascolta. Come?
    1. Facendo domande relative al testo/alle immagini;
    2. Indicando oggetti e ripetendone il nome;
    3. Chiedendo informazioni relative alla propria vita personale. Vengono messi in gioco in particolar modo 2 tipi di attenzione: l’attenzione sostenuta e l’attenzione selettiva;
  1. MEMORIA: la memoria viene sviluppata durante e in seguito all’acquisizione di parole e dei suoni e permette di mantenere le informazioni che precedono l’avanzamento della storia;
  2. INIBIZIONE: le immagini e il testo all’interno di un albo illustrato sono correlate fra di loro e vanno ad arricchirsi a vicenda. L’inibizione favorisce l’attenzione selettiva di queste permettendo una maggiore attenzione su alcuni aspetti piuttosto che altri.

Quando iniziare a leggere in condivisione?

La lettura condivisa non ha età. È possibile iniziare a leggere con i bambini molto piccoli, anche quando ancora non parlano. Importante qui diventa la stimolazione da parte dell’adulto nell’ indicare e nel far comprendere le parole presenti nel libro. Il bambino che non sa leggere la frase mette in gioco quella che viene definita immaginazione, fantasia, la quale favorirà la creazione di una storia sempre diversa all’interno dello stesso testo.

La possiamo anche utilizzare con gli adolescenti e gli adulti, magari preferendo solo una parte del testo, piuttosto che al completo favorendo l’interesse per un tema preciso o per un’analisi critica di un argomento scomodo.

Quindi.. il mio consiglio è.. LEGGETE con i vostri bambini. Fin da quando sono molto piccoli. Favorirà il loro interesse per la lettura e li aiuterà nelle loro capacità linguistiche e sociali, portandoli ad avere sempre pronto un pensiero critico.

«La mente è una sola. La sua creatività va coltivata in tutte le direzioni». (Grammatica della fantasia) – Gianni Rodari

Dott.ssa Giorgia Ghiraldini

Educatrice sociopedagogica

Bibliografia:

  • La lettura in famiglia. Guida alla diffusione pratiche dai 0 ai 6 anni. 
  • Mazzoli E., Fai un libro. Fanne un altro., edizioni Il leone verde, 2018
LE PAURE (NON) HANNO ETÀ

LE PAURE (NON) HANNO ETÀ

Provare paura o sentirsi spaventati da qualcosa fa parte del normale percorso di crescita dei nostri bambini. Avere paura è un segnale che permette di dire al nostro corpo che ci troviamo in una situazione di pericolo e dobbiamo attivarci per fuggire e allontanarci. Il problema si innesca nel momento in cui la paura diventa eccessiva e porta ad evitare situazioni che in realtà non sono così pericolose oppure conduce al cosiddetto “freezing”, ovvero al congelamento e al blocco totale con una conseguente incapacità di reagire. Di nuovo, molto dipende dai pensieri. 

Ricordiamoci, però, che esistono delle paure fisiologiche che emergono in ciascuno dei nostri bimbi a particolari età. Per questo motivo è fondamentale capire in quale fase di sviluppo si trovano i nostri figli per discriminare tra una fobia fisiologica e una, invece, che merita attenzione da parte di un professionista. Qui di seguito troverete una tabella esplicativa che vi può essere di aiuto.

Per parlare di fobia vera e propria, invece, bisogna considerare la sua persistenza nel tempo: se perdura oltre l’intervallo di tempo che abbiamo visto in tabella, allora diventa importante lavorarci insieme per sconfiggerla!

Piccolo suggerimento che potete adottare voi genitori: incentivate i vostri figli ad avere un comportamento più sicuro e coraggioso. Ma cosa significa essere coraggiosi? Il coraggio è quella spinta che ci porta a fare cose verso cui proviamo una certa quota di timore, sfidando noi stessi sia in termini di forza fisica, che di motivazione a voler raggiungere un obiettivo e perseguire una giusta causa.

Per affrontare al meglio la paura dei vostri figli ricordatevi sempre di utilizzare l’arma del dialogo: spiegate loro in maniera concreta e razionale gli eventi temuti, tenendo in considerazione l’età e il livello di sviluppo, lasciando loro il tempo di metabolizzare e fare le giuste domande in merito ai dubbi che possono sorgere. Inoltre, è importante rassicurarli che determinati eventi di cui possono avere paura in realtà hanno una bassissima probabilità di verificarsi nella vita di tutti i giorni: questo è utile per trasmettere un senso di serenità.

Vi lascio infine un ultimo spunto: esiste anche la paura di sbagliare, molto diffusa tra i nostri bambini e ragazzi, soprattutto nel contesto scolastico! Stay tuned…in uno dei prossimi articoli approfondiremo meglio l’argomento!

Dott.ssa Zaghini Chiara

Dottoressa in Psicologia dello Sviluppo

Bibliografia:

  • Di Pietro Mario (2014). “L’ABC delle mie emozioni”. Trento, Erickson; Incidenza delle paure in un campione clinico, tratto da Kendall e Di Pietro (1995).
QUAL È IL TUO STILE DI COMUNICAZIONE? SCOPRILO TROVANDO IL TUO IDENTIKIT!

QUAL È IL TUO STILE DI COMUNICAZIONE? SCOPRILO TROVANDO IL TUO IDENTIKIT!

Ben ritrovat* sono sicura che questo titolo ti ha incuriosito e che per un attimo ti sia chiesto che ci faceva un identikit in un articolo dello studio… tranquillo non ci siamo trasformati in investigato!

In questo articolo che spero leggerai dopo quello della dott.ssa Mabilia sulla comunicazione (https://studioprogettovita.it/?p=2425 ), vorrei parlarti proprio di STILE, in effetti ciascuno di noi ha un proprio stile di comunicazione.

QUANTI STILI ESISTONO?

La risposta esatta potrebbe essere molti ma in generale si è soliti dividere gli stili di comunicazione in tre tipi:

  1. Stile passivo
  2. Stile aggressivo
  3. Stile assertivo

Sono sicura che leggendo qua e là avrai già sentito parlare di questi stili o comunque ti torneranno familiari le parole aggressivo/passivo/assertivo/manipolatorio.

Proverò quindi a farti una breve rassegna di questi stili e soprattutto ti aiuterò a svelare quello che è l’identikit di ciascun stile di comunicazione.

LO STILE PASSIVO

Le persone con questo stile comunicativo, non rispettando pienamente se stesse, non riescono a farsi rispettare nemmeno dagli altri: difficilmente prendono una propria posizione (e se ce l’hanno, la tengono ben nascosta), poiché non sono in grado di reggere il confronto, in quanto insicuri.

Seguono sempre il “gregge” e si fanno facilmente manipolare. In altre parole, subiscono la vita invece di darle una direzione. 

La persona passivo, di solito, è una persona molto attenta agli altri, dai quali si lascia condizionare e influenzare, anche al di là della propria volontà.

Di fatto, tende a non opporsi quando viene aggredito, a lasciare correre, anche troppo. Il suo motto è: “basta non litigare” e in nome di questa “pace”, accetta e subisce quanto le viene imposto da altri.

Il suo identikit

Caratteristiche tipiche dell’individuo passivo:

  • Non esprime mai le sue opinioni. “Dimmi tu, a me va bene tutto” è la frase che ripete con maggior frequenza il soggetto passivo. Il suo obiettivo è quello di ottenere l’approvazione di tutti, evitando di farsi ipotetici nemici. Dietro questo comportamento accondiscendente si nasconde ovviamente una forte insicurezza.
  • Non reagisce quando viene trattato male. Per rendere meglio l’idea, potremmo definire il soggetto passivo come il classico “cagnolino al guinzaglio”, senza avere reazioni.
  • Durante un litigio si sente in colpa. Quando riceve una critica o litiga con qualcuno, in automatico crede di aver torto e si sente in colpa.
  • Scende spesso a compromessi per evitare i conflitti. Le persone passive cercano di evitare ogni forma di scontro e sono addirittura disposte a scendere a compromessi svantaggiosi.
LO STILE AGGRESSIVO

La persona aggressiva sembra essere attenta solo ai propri bisogni, se ne frega degli altri, traccia la rotta verso ciò che desidera e spazza via tutto quello che c’è in mezzo, come se non esistesse, come se non avesse diritti.

Chi adotta questo stile relazionale è in guerra, continuamente. Ha l’abitudine ad attaccare e si aspetta che gli altri facciano lo stesso nei suoi confronti. Proprio per questo tende a vivere continuamente in allerta come se fosse sempre in trincea, difendendo quanto conquistato e temendo inconsciamente l’arrivo di qualcuno che “potrebbe menare più forte”.

Il suo motto è “O pesti, o vieni pestato”.

Il suo identikit:
  • Discutere frequentemente con gli altri. È fortemente critico verso tutte le azioni che non rientrano nel suo modo di vivere;
  • Pensare che gli altri si prendano troppe libertà e debbano essere richiamati all’ordine per restare al loro posto;
  • Essere tendenzialmente egoista e mettere sempre in primo piano le proprie esigenze, calpestando quelle degli altri;
  • Essere in forte competizione con tutti (nel senso negativo del termine);
  • Mettere in cattiva luce gli altri per emergere.

Forse l’aggressivo potrà anche pensare che il proprio stile relazionale possa fargli ottenere quello che vuole, ma di fatto, egli si pone spesso su una posizione attacco/difesa e questo può generare delle conseguenze che minano il rispetto e la fiducia reciproca. In tal senso, le persone che hanno a che fare con lui/lei possono serbargli rancore e imparare ad evitarlo oppure ad opporsi.

LO STILE ASSERTIVO

Una persona assertiva è colei che mostra sicurezza nel sostenere le proprie opinioni.

Non a caso l’assertività è ritenuta una delle caratteristiche chiave delle persone di successo che stanno bene con se stesse: essere assertivi vuol dire essere in grado di comunicare in modo chiaro ed efficace le proprie emozioni e le proprie opinioni, senza tuttavia prevaricare l’altro.

Il suo identikit:

Una persona assertiva è in grado di esprimere ciò che pensa, sa farsi valere e farsi rispettare. Assertivo è infatti colui che mostra in particolare: decisione, determinazione e risolutezza.

Essere assertivi significa quindi aver trovato quella famosa giusta via di mezzo tra le due polarità opposte, appena descritte: l’aggressività e la passività.

Questo perché l’assertività è prima di tutto un equilibrio, mentre ciascuno dei due stili visti in precedenza tende all’eccesso: l’aggressivo calpesta gli altri e il passivo si fa calpestare. In questo modo, nessuno di questi due approcci rappresenta infatti un modello ideale per relazionarsi in modo efficace agli altri.

L’assertivo, invece, evita di lasciarsi trascinare dalla corrente incontrollata degli eventi, ma al contrario li domina e li gestisce con energia ed ingegno, riuscendo in questo modo a esprimere,  sempre il meglio di sé stesso e delle proprie capacità.

Visto che sei arrivato fino alla fine di questo articolo, sono pronta a lasciarti tre piccoli suggerimenti per imparare subito ad essere più assertivo:

  • IMPARARE AD ACCETTARE LE CRITICHE.
  • IMPARARE A PADRONEGGIARE I CONFLITTI.
  • FAR PRATICA NEL DIRE NO.

 

Dott.ssa Veronica Griguoli

Bibliografia e sitografia:

Anchisi, R., Dessy, G., Mia (2018). Manuale di assertività. Teoria e pratica delle abilità relazionali: alla scoperta di sé e degli altri.

Nanetti, F. (2018). Assertività ed emozioni. Manuale di formazione integrata alla comunicazione efficace.

Giusti, E., Testi, A. (2018). L’assertività. Vincere quasi sempre con le 3 A.

Algeri D. (2019). Il tuo stile relazionale è passivo, aggressivo e assertivo? 

I BAMBINI SONO SEMPRE E SOLO ARRABBIATI? DIAMO IL GIUSTO NOME ALLE COSE!

I BAMBINI SONO SEMPRE E SOLO ARRABBIATI? DIAMO IL GIUSTO NOME ALLE COSE!

Vi sembra che i vostri bimbi facciano fatica a controllare la rabbia? Notate in loro degli scatti di ira un pochino troppo esagerati per la situazione? 

Se queste reazioni persistono anche durante gli anni della scuola primaria, il rischio è che i vostri figli possano incappare in difficoltà relazionali con i compagni di classe o con gli amichetti. Ecco che imparare alcuni trucchetti su come gestire la rabbia può essere un valido aiuto per voi genitori!

Innanzitutto, dovete “interrogarli” sui segnali fisici che sono indice di rabbia, magari disegnando una sagoma di un corpo umano in cui poter segnare le zone in cui “sentono” di essere arrabbiati o nervosi. Ad esempio, ad alcuni batte forte il cuore, altri sudano e provano molto caldo, c’è chi avverte le gambe tremare, chi vorrebbe stringere i pugni e chi vorrebbe urlare. 

In un secondo momento, aiutateli ad individuare a quale livello di intensità si colloca questa rabbia, immaginando un termometro che va da 0 a 10, dove i livelli da 1 a 3 indicano un lieve fastidio/irritazione, mentre superando il livello 8 si arriva ad uno stato di intensissimo furore, che culmina nel punto di esplosione. È proprio qui che entra il campo il vocabolario emotivo di cui abbiamo parlato nell’articolo introduttivo. 

Lo strumento che voglio presentarvi per aiutare i vostri bambini a gestire al meglio le esplosioni di collera è la tecnica della tartaruga. È molto semplice da realizzare: basta prendere un cartoncino, dei pennarelli e un fermacampione. Questa procedura insegna come autocontrollarsi di fronte ad una situazione che innesca uno stato di agitazione, nervosismo o rabbia. L’animaletto guida i bambini nelle 4 fasi: 

  1. Riconoscere che si sta provando rabbia, di qualsiasi intensità si tratti, prestando attenzione ai segnali fisici;
  2. Fermarsi, dicendosi nella propria mente “STOP!”;
  3. Far finta di ritirarsi dentro il guscio, proprio come fa la tartaruga, e fare 3 respiri profondi oppure contare fino a 10 in modo da calmarsi, magari pensando anche a qualcosa di piacevole;
  4. Uscire dal proprio guscio e pensare alla soluzione più adatta per risolvere il problema, escogitando un’alternativa creativa.

Dott.ssa Zaghini Chiara

Dottoressa in Psicologia dello Sviluppo

Bibliografia:

  • Di Pietro Mario (2014). “L’ABC delle mie emozioni”. Trento, Erickson.
Il ruolo delle funzioni esecutive: l’inibizione

Il ruolo delle funzioni esecutive: l’inibizione

Eccoci oggi ad approfondire un’altra delle funzioni esecutive, l’inibizione: una componente dell’intelligenza che permette di sospendere le azioni e le decisioni per un tempo sufficiente a eseguire analisi cognitive più sofisticate e complesse, consentendo quindi un migliore adattamento ai cambiamenti ambientali. 

In altre parole, l’inibizione o controllo inibitorio consiste nella capacità degli esseri umani di inibire o controllare le risposte impulsive (o automatiche), mettendo a freno i comportamenti e generare risposte mediate dall’attenzione e dal ragionamento al fine che esse siano più adeguate al contesto e alla situazione.

Questa capacità è connessa alle strutture cerebrali frontali che sono le ultime a maturare durante il nostro sviluppo e per tale ragione i bambini più piccoli presentano maggiori difficoltà a controllare il proprio comportamento e nella gestione dell’imprevisto. 

Provate a pensare a tutte le volte che siete stati punti da una zanzare: nonostante il tremendo prurito e nonostante la voglia irrefrenabile di grattarsi, il più delle volte, si è in grado di resistere evitando quindi che quella semplice puntura diventi una ferita. Ecco, in questo caso dobbiamo ringraziare il nostro controllo inibitorio. Ma l’inibizione non centra solo con le punture di insetto, e come tutte le altre funzioni esecutive è parte dei nostri meccanismi cognitivi quotidiani: è sempre grazie all’inibizione se possiamo limitarci nell’esprimere qualcosa che pensiamo ma che é meglio non dire, o riuscire a rimanere seduti sulla sedia mentre siamo in classe, mentre stiamo studiando o siamo al lavoro nonostante il desiderio che abbiamo di alzarsi e molti altri potrebbero essere gli esempi da fare.

Le difficoltà a livello di controllo inibitorio su cui spesso lavoriamo con i bambini e i ragazzi in seduta sono categorizzabili in 3 livelli: 

  • Livello motorio tipico del bambino che in classe  non può evitare di alzarsi tutto il tempo perché è stanco di stare seduto. 
  • Livello Attenzionale tipico del bambino che è facilmente distraibile e che ad esempio mentre sta svolgendo i compiti si distrae perché ha sentito un clacson fuori dalla finestra o perché vede un cimice gironzolare per la stanza
  • Livello Comportamentale tipico del guidatore che suona il clacson infuriato e in maniera impulsiva quando il semaforo diventava verde e il conducente di fronte non parte nell’immediato. 

In che modo potenziare questa funzione così importante?

Anche in questo caso, come per memoria e attenzione possiamo proporre diversi giochi e o attività volti ad un sempre maggior potenziamento della capacità di inibizione.

Tra i compiti maggiormente utilizzati per il potenziamento di questa capacità vi sono quelli basati sul paradigma dello Stroop che consistono in esercizi che promuovono l’abilità di selezionare alcune caratteristiche degli stimoli presentati allenando la capacità di inibire l’informazione che istintivamente attira la nostra attenzione e di selezionare aspetti diversi dello stesso stimolo.

Ad esempio propongo una lista di colori chiedendo di non leggere la parola ma di dire il colore con cui è scritta la parola come proposto nell’immagine qui accanto.

Un esercizio per sviluppare l’inibizione in un compito verbale si possono utilizzare anche dei metodi che aiutano i bambini ad esercitarsi nel bloccare una risposta spontanea in favore di un’alternativa.

Un esempio di questo compito è il “Completamento alternativo di frasi” in cui presento al bambino una serie di frasi incomplete chiedendo di inibire la risposta automatica e completare le frasi con termini non semanticamente collegati (In autunno dagli alberi cadono ….. i biscotti).

Per rinforzare l’aspetto di inibizione motoria possono invece essere proposti dei giochi in cui vengono proposte una serie di parole che il bambino deve ascoltare chiedendo di reagire a specifici stimoli target (es. batti le mani sul tavolo quando senti nominare un animale); utili per sviluppare il controllo inibitorio sono anche i giochi in cui vengono forniti in contemporanea comandi verbali e gestuali per cui viene chiesto al bambino di toccare le parti del corpo ascoltate, con l’operatore che nel mentre indica parti del corpo differenti.

Dott.ssa Benedetta Levorato

Psicologa dell’età evolutiva

Bibliografia:

  • Marotta L. e Varvara P. (2013), Funzioni esecutive nei DSA – Disturbo di Lettura: Valutazione e Intervento, Trento, Edizioni Erickson, pp. 98-107 e 143-150.
  • Marzocchi G.M., Portolan S. e Usilla A. (2006), Autoregolare l’attenzione, Trento, Erickson.
La Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS) e l’approccio in Medicina Osteopatica

La Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS) e l’approccio in Medicina Osteopatica

In precedenza chiamata “colite spastica” o “disturbi gastrointestinali funzionali” o “colon irritabile”, è un disturbo dell’interazione intestino-cervello comune e debilitante. Interessa circa il 10% della popolazione, con un tasso più alto di prevalenza dai 20 ai 50 anni colpendo soprattutto il di sesso femminile. 

Si caratterizza attraverso la cronicità (sintomo insorto almeno 6 mesi prima della diagnosi) di un fastidio o dolore addominale ricorrente (cioè va e viene ad andamento fluttuante per almeno 3 giorni al mese negli ultimi 3 mesi) con almeno due delle seguenti caratteristiche

relazione alla defecazione (il dolore migliora dopo l’evacuazione), associazione con un cambiamento nella frequenza delle feci (intestino stitico, diarroico o misto, cioè alternanza tra stipsi e diarrea) o associazione con un cambiamento nella consistenza delle feci (criteri Diagnostici Internazionali di ROMA IV).

 

Essendo per definizione una sindrome (dal gr. syndromḗ “confluenza”, in medicina, un complesso più o meno caratteristico di sintomi, senza però un preciso riferimento alle sue cause e al meccanismo di comparsa) non è riconoscibile un singolo fattore scatenante ne la fisiopatologia è chiara, bensì è la combinazione di fattori fisiologici e psicosociali a generare e mantenere il disturbo. Non ci sono infatti cause organiche rilevabili mediante esami di laboratorio, esami di imaging o anatomopatologici.

 

Dal lato psico-sociale possiamo trovare atteggiamenti aberranti nei confronti delle malattie (la persona esprime il conflitto emotivo come disturbo gastrointestinale, solitamente in forma di dolore addominale), aspetti cognitivi ed emotivi (il disturbo è stato spesso considerato per molto tempo come puramente psicosomatico). Alcuni pazienti hanno disturbi d’ansia, depressione, disturbi di somatizzazione e si deve ricercare la presenza di problemi psicologici non risolti, inclusa la possibilità di violenze sessuali o fisiche.

 

Dall’altro lato si riscontrano fattori biologici, come la predisposizione e la suscettibilità individuale, alterazioni della motilità del tratto gastro intestinale (esagerato riflesso gastro-colico post-prandiale, alternanza stipsi-diarrea), la sensibilità dei visceri (iperalgesia viscerale) da rimodellamento delle vie neurali nell’asse intestino-cervello (brain-gut axis), la percezione soggettiva del dolore, l’alterazione della flora batterica (permeabilità intestinale, regime alimentare ricco di FODMAPs) ed infezioni intestinali (gastro enterite acuta). 

La situazione inoltre può essere amplificata dal punto di vista sintomatologico in presenza di intolleranze ed allergie alimentari, di un utilizzo cronico di farmaci (es. antinfiammatori, antibiotici) e di eventi psico-fisici stressanti. Il nostro intestino è considerato il nostro “secondo cervello”, vista la continua comunicazione con il nostro “primo cervello”. Per questo motivo, molti eventi stressanti a livello psichico si riflettono sull’intestino, e viceversa (problemi addominali che causano stress psicologici). 

Spesso i pazienti dichiarano una riduzione della qualità della vita e circa il 60% di essi lamenta anche debolezza ed affaticamento. La sindrome si presenta spesso associata con altri disturbi gastro intestinale come la dispepsia funzionale e la malattia da reflusso gastroesofageo, così come con altre patologie, inclusa la malattia celiaca. Tra i vari sintomi associabili alla Sindrome da Intestino Irritabile troviamo sintomi riconducibili a quadri di cefalea e dolore all’articolazione temporo-mandibolare, dolore dorso lombare, ansia, depressione, fibromialgia, fatica cronica, cistite, dolore pelvico cronico.

 

La diagnosi è clinica medica e gastro-enterologica ad esclusione, dal momento che i sintomi sono presenti ma non è presente una patologia d’organo che possa spiegarne la causa. 

Esistono però sintomi che possono necessitare di esami diagnostici specifici a cura del medico di base o dello specialista di riferimento:

  • insorgenza dopo i 50 anni di età
  • dimagrimento inspiegabile
  • anemia
  • febbre
  • sangue nelle feci
  • dolore che non migliora dopo l’evacuazione

Fra i test diagnostici utili per eseguire una corretta diagnosi differenziale vi sono:

  • Colonscopia: esame morfologico dell’intestino crasso con prelievi bioptici/asportazioni polipi
  • Breath test al lattosio: esame per verificare presenza o assenza di enzima Lattasi che digerisce zuccheri (se assente i sintomi possono essere riconducibili a intolleranza al lattosio)
  • Esami del sangue per la Celiachia: esame per verificare indici infiammatori e antigeni per la malattia celiaca (se presenti i sintomi possono essere riconducibili allergia al glutine)
  • Tomografia computerizzata: per escludere patologie d’organo in ambito addominale extra colico

 

Il trattamento in Medicina Convenzionale è sintomatico e consiste nell’assunzione di farmaci, inclusi anticolinergici e agenti attivi sui recettori serotoninergici.

Di fondamentale importanza un’adeguata educazione alimentare supportata dal Nutrizionista di riferimento permette di evitare cibi che producono gas intestinale e quelli che inducono diarrea. 

L’uso di probiotici per trattare la sindrome dell’intestino irritabile è aumentato negli ultimi anni data l’importanza del microbioma intestinale in questo disturbo.

La terapia psicologica di tipo cognitivo-comportamentale ha evidenziato la sua importanza nella gestione degli aspetti psico sociali inerenti la sindrome e permettendo di affrontare il disagio fisico gestendo le implicazioni emotive e comportamentali che esso porta con sé.

 

In Medicina Osteopatica, mettendo in particolare risalto la bidirezionalità comunicativa tra primo e secondo cervello e considerando la peculiare capacità del sistema nervoso autonomo (ortosimpatico, parasimpatico ed enterico) di gestire correttamente o meno lo stato infiammatorio intestinale locale e globale, si valutano le differenti aree del corpo che mancano di una corretta integrazione e che possono generare una manifestazione sintomatologica correlabile.

Nei casi di Sindrome dell’Intestino Irritabile l’Osteopata andrà ad indagare le componenti disfunzionali relative al sistema neurovegetativo di competenza, all’area vertebrale dorso lombare e sacrale associate, al diaframma toracico e pelvico e la loro relazione, all’area cranio cervicale deputata al controllo vagale, alle strutture viscerali (in particolare alle componenti del piccolo e grande intestino), alle aree linfatiche e di connettivo connesse al MALT (sistema immunitario linfoide associato alle mucose).

L’approccio all’IBS con l’Osteopatia è quello di andare a generare, attraverso le più appropriate tecniche viscerali e connettivali, un processo terapeutico di autocorrezione che possa ridurre le tensioni e i sintomi dolorosi a livello addominale, ripristinare il drenaggio linfatico e venoso per aiutare la corretta motilità intestinale e riequilibrare il sistema nervoso autonomo enterico favorendo l’adeguata comunicazione somato-viscerale e viceversa.

Andrea Viale DO mROI – Osteopata

BIBLIOGRAFIA

 

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